La Rai si spacca sul “sì” di Benigni: «Brutta operazione propagandistica»

3 Giu 2016 17:10 - di Valerio Falerni

«Che Benigni ripeta la sua convinta ed entusiastica adesione al “sì” nella prima serata del principale canale della tivù di Stato, prima della replica della sua ode televisiva alla “Costituzione più bella del mondo”, è il segno di una smaccata operazione propagandistica». A parlare, pardòn, a scrivere queste severe ma fondate accuse che toccano, e non di striscio, anche la Rai non è uno qualsiasi ma Arturo Diaconale, uno che la Rai la amministra. E se lui dice, anzi scrive, che l’azienda di Viale Mazzini si presta ad operazioni propagandistiche c’è da credergli.

L’accusa di Diaconale, del cda Rai

Per lanciare il suo j’accuse Diaconale sceglie L’Opinionela testata che da tempo dirige. E il suo è un editoriale di fuoco: «L’operazione – infatti vi si legge – squalifica il guitto nazionale a semplice buffone di corte» e «faccenda molto più grave, dimostra come la televisione pubblica, per cui tutti gli italiani sono chiamati a versare un canone da luglio inserito nella bolletta elettrica, sia diventata una brutale e banale “fabbrica del consenso” al servizio del governo impegnato a trasformare il referendum sulla Costituzione in un plebiscito in favore del proprio regime e del proprio premier».

Appello alla commissione di Vigilanza

Nei giorni scosci, Diaconale insieme con Carlo Freccero e Giancarlo Mazzuca, anch’essi membri del cda, si erano fatti promotori di un appello alla commissione di Vigilanza Rai affinché anticipasse il regolamento della campagna referendaria per assicurare il giusto equilibrio nel servizio pubblico tra le ragioni del “sì” e quelle del “no”. «Ora – ha scritto Diaconale – torno a rilanciare la richiesta». Il consigliere d’amministrazione ha ricordato che il referendum confermativo di ottobre «costituisce un evento eccezionale», in cui si decide la forma della democrazia repubblicana. «E non è concepibile ed accettabile – scrive ancora Diaconale – che la tv pubblica si presti ad essere lo strumento passivo solo di chi chiede la sostituzione del sistema parlamentare bicamerale in un premierato anomalo in quanto privo di bilanciamenti di sorta. Se anche questa volta l’appello dovesse cadere nel vuoto – è la sua conclusione – non rimarrebbe altra strada che il ricorso alla magistratura o ad altre e più eclatanti forme di denuncia!»

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