Post Brexit: perché bisogna ripartire dalle persone e non dai numeri

30 Giu 2016 14:07 - di Tiziana Onorati

Il 23 giugno 2016 passerà alla storia europea come una data memorabile: la Gran Bretagna con un referendum consultivo che attende solo una ratifica da parte del Parlamento, decide di uscire dal progetto di un’Europa unita. Aldilà delle pur importanti conseguenze finanziarie ed economiche che hanno accompagnato l’incertezza dell’esito referendario nel periodo antecedente, aldilà delle reazioni delle borse e dei mercati nei giorni immediatamente successivi, il risultato post Brexit avrà senz’altro pesanti conseguenze da un punto di vista politico. Senza voler azzardare alcuna dietrologia, la domanda più legittima che si possa fare in questo momento è se l’uscita della Gran Bretagna sia effettivamente il risultato di una sacrosanta scelta democratica dell’elettorato, o se piuttosto non sia una strategia ben pianificata di lobbies ed interessi prettamente capitalistici. Possibile che una scelta così importante per l’alta finanza sia stata lasciata ad una fetta di popolazione over cinquanta e dai sondaggi neanche  sufficientemente informata? La causa pro Brexit è stata sostenuta dalla maggioranza dei media e favorita dalla spaccatura in seno ai maggiori partiti politici.

Le decisioni che Bruxelles è in procinto di adottare in campo finanziario  e bancario, sono stati sicuramente motivi decisivi  per questa uscita. Da tempo la protesta inglese  rivendicava una maggiore  sussidiarietà a favore della sovranità nazionale e la concessione alla sterlina di analoghe condizioni esistenti per l’euro.  Condizioni evidentemente non accettabili che hanno portato al fallimento dei negoziati.

La storia passata della presenza inglese all’interno dell’Europa è costellata da iniziative e ripensamenti, richieste di esoneri e rinegoziazioni e nella sua indecisione è sempre stata assecondata.   La Gran Bretagna pur essendo consapevole del peso che un’Europa unita aveva in campo internazionale e dei vantaggi di cui avrebbe potuto beneficiare, ha sempre mal sopportato i doveri  che comportava farne parte.

Senza dubbio lo spostamento dei mercati verso scenari molto lontani dall’Europa,  il passato coloniale della Gran Bretagna, la sua identità di grande potenza indipendente hanno creato un substrato psicologico favorevole all’esito del referendum. Non dimentichiamo inoltre i suoi rapporti commerciali nell’ambito del Commonwealth  che le garantiscono accordi economici privilegiati e un diritto migratorio preferenziale al suo interno e portano la Gran Bretagna a testimoniare come sia lecita e possibile la cooperazione economica senza per questo far parte di un’unione politica.

La discrasia tra la smania di  costruzione del progetto Europa e il principio di democraticità, la crisi che accentua i divari  tra i Paesi membri, vanno a sommarsi ad  un’integrazione che non ha mai toccato la sfera delle identità nazionali, ma si è sempre arrestata ad un livello monetario ed economico.

L’errore fondamentale di questa Unione Europea resta l’aver dimenticato l’essere umano. Ogni formazione sociale ha come base l’uomo, il suo benessere, il perseguimento della sua felicità.  Il venir meno di questi presupposti a favore delle sovrastrutture bancarie e finanziarie,  impedisce di centrare lo scopo  politico e sociale dell’Unione. Mirando esclusivamente ai parametri da perseguire e rispettare al fine di realizzare una convergenza economica, vengono a mancare gli obiettivi forse più filosofici, ma concreti come l’innalzamento del livello di impiego e di protezione sociale, il miglioramento della qualità della vita, la solidarietà tra gli Stati membri. La reticenza a sospendere o limitare la sovranità nazionale, la sottovalutazione della storia passata soprattutto dei Paesi colonizzatori e degli interessi che tuttora esistono con le colonie, rappresentano delle profonde lacune in un continuum che volge esclusivamente all’ambito economico.

In un periodo storico in cui l’Europa viene messa alla prova sotto tanti aspetti  e delude, l’uscita della Gran Bretagna rappresenta senza dubbio un duro colpo per quanto calcolato e messo in conto.

La sfida ora sarà rimodellare questo progetto unitario partendo da un’analisi critica, introducendo le dovute correzioni cercando un equilibrio più che legittimo tra i sacrifici richiesti e le prospettive di migliori condizioni di vita. La burocrazia e la tecnocrazia non possono rappresentare i pilastri di questa Europa fatta innanzitutto di esseri umani. Il capitalismo come prospettiva di felicità paventata deve smettere di relazionarsi  con parametri numerici o teorie economiche e deve ricominciare dagli uomini e dalle donne che sono l’anima di questa Europa.

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