La politica è Donna? Non ancora, la “regia” dietro le quinte le indebolisce

27 Giu 2016 14:34 - di Tiziana Onorati

Alla luce delle elezioni appena concluse, dove molte donne hanno concorso e sono riuscite ad imporsi in comuni importanti, non si può fare a meno di notare come la politica ristagnante di questi anni, che brancola nel buio in cerca di un riscatto, stia disperatamente tentando una via di riaffermazione proprio attraverso la componente femminile. Viviamo in un periodo storico in cui l’essere donna resta estremamente penalizzante: la mentalità dilagante è ancorata a vecchi pregiudizi legati proprio all’essenza della donna, alla sua capacità di essere madre e lavoratrice allo stesso tempo, alla sua innata istintività di curare la propria immagine senza per questo sminuire la propria intelligenza ed il proprio valore. Le elezioni appena terminate a Roma hanno messo in luce in maniera forte questa visione strisciante, frutto di una cultura da superare: i commenti sulla candidata Giorgia Meloni, sulla sua impossibilità a ricoprire il ruolo di sindaco perché incinta, o i giudizi estetici a cui una donna in quanto tale deve sottostare, evidenziano la necessità di un cambiamento d’approccio.

Le donne siano un’ispirazione per la politica

L’introduzione delle quote rosa in virtù della parità può essere stato un buon punto di partenza, ma la caratura della presenza femminile nel mondo politico sta nella capacità di sfuggire alle strumentalizzazioni, nell’affermare con dignità la propria preparazione e soprattutto la propria diversità. Si può e si deve fare politica “da donne” apportando tutto quel sistema di valori, di esperienze umane e personali che le contraddistingue. La frammentazione politica rispecchia una vera e propria crisi d’identità delle varie componenti che porta ai deliri di protagonismo, alla confusione di idee ed ideali, all’oblio della memoria di un passato decisamente più decoroso. L’elemento femminile non deve essere fatto solo di presenza, deve piuttosto rappresentare una fonte d’ispirazione che riesca a dare ancora speranza agli elettori in un clima di sfiducia ormai di lungo periodo. L’affermazione di Virginia Raggi come primo sindaco donna al comune di Roma va letta in questa chiave: le donne potrebbero concretamente rappresentare un’opportunità per la politica, ma solo se riusciranno a costruire una propria identità che non sia d’appendice a niente e a nessuno. Solo la libertà di pensiero può creare la libertà di espressione in tutte le sue forme.

La regia di Grillo, una debolezza

Ecco perché sussistono molti dubbi sulla possibilità che la Raggi riesca a governare una città così complessa come Roma: la mancanza di libertà d’azione che lo statuto del Movimento Cinque Stelle impone, il divieto di associazione con altri partiti o coalizioni se non per votazioni su punti condivisi, la regia più o meno occulta di Beppe Grillo e della Casaleggio associati e quella codificata della rete, potrebbero rivelarsi fattori di debolezza che finirebbero per paralizzare o addirittura non far mai partire il governo della città. Insomma, la Raggi potrebbe rivelarsi una delle tante figure femminili che costellano società e politica dietro cui si nasconde una direzione che sta da tutt’altra parte ed è di tutt’altro genere. Esiste un velo sottile ma costante che copre il lungo cammino dell’emancipazione, un velo che porta a sommergere il femminile a tutto vantaggio del mondo maschile. La storia politica come ci viene comunicata è fatta da uomini. Eppure non si può dimenticare o nascondere il contributo fondamentale che la donna apporta quotidianamente alla società. Nella fragilità dei partiti, nella frantumazione di intere esperienze del passato, nello smarrimento politico che non è altro che smarrimento dell’individuo, forse una speranza resta proprio la donna. Donna come prospettiva futura, come memoria di valori semplici, di tradizione, di famiglia , ma anche donna come nuova identità politica fatta di consapevolezza di sé, di autonomia, nel riconoscimento di una diversità che senza dubbio esiste.

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