L’analisi – Ballottaggi: lo stress del Pd in attesa di un test molto politico
Nella giornata in cui si tengono i ballottaggi per l’elezione dei sindaci di 126 Comuni, e soprattutto nelle più importanti città capoluogo – Roma, Milano, Torino, Bologna, Napoli – è difficile dire come andrà a finire. Soprattutto il derby politico della Madonnina tra i due candidati gemelli, Sala e Parisi – i quali hanno concluso in sostanziale parità il primo tempo – è partita tutta da vedere: è il risultato che darà il sapore della vittoria o della sconfitta al governo o alle opposizioni. Esito politico, in ogni caso e nonostante il tentativo di Renzi di parlare d’altro, inclusa la visita di Stato a Vladimir Putin, provvidenziale per il premier-segretario che non fa della sua agenda un uso esclusivamente istituzionale. Vedremo. Ma, al di là del gran finale elettorale che assomiglia sempre più a una finale sportiva – in anticipo su quella degli Europei di calcio – emerge qualche linea di tendenza che vale la pena osservare. L’allontanamento di Renzi dal dall’epicentro di eventuali catastrofi elettorali è uno di questi e qualche presentimento è dato proprio dal comportamento del presidente del Consiglio, che per qualche giorno ha dismesso la maschera della tracotanza; a fronte di un Pd che – sul caso delle consulenze alla Raggi e sulle simpatie presunte, ma politicamente spiegabili, di D’Alema per chiunque possa fare male a Renzi – è sotto stress. Innervosito, perfino incattivito, come sapeva esserlo il Pci, in forza di in comportamento-archetipo, evidentemente non del tutto perduto, che scatta quando la sinistra vede in pericolo qualche suo sensibile interesse politico.
L’antipatia verso Berlusconi ora si canalizza verso Renzi
Due dati si parlano a distanza, anche se il collegamento non è così evidente, ma sufficientemente visibile: l’intervento chirurgico (andato bene) a cui si è sottoposto Silvio Berlusconi e la carica di insofferenza, a tratti di vera e propria “antipatia” estesa che sembra prendere di mira ogni giorno di più Matteo Renzi. È come se questo stesso sentimento popolare, del quale è stato bersaglio per anni l’ex Cavaliere – il Caimano, nell’interpretazione cinematografica di Nanni Moretti – si stia canalizzando in modo crescente da lui verso l’attuale capo del governo. Ciò, in corrispondenza con un parallelo cambio d’umore verso il vecchio leader del centrodestra: ricoverato d’urgenza in ospedale e sottoposto, ottantenne, a una seria operazione a cuore aperto, è immagine che ha colpito l’umana “pietas” di molti italiani, ben oltre i confini delle appartenenze politiche. E – insieme agli inevitabili confronti con la condizione di tanti cittadini che non si curano più e che comunque non possono permettersi il trattamento riservato all’ex Cavaliere – sembra avere fermato i generatori collettivi – non spiegabili alla berlusconiana maniera, con complotti e ostilità dei media – che nel Ventennio di B. non avevano mai smesso, a torto o a ragione, di scaricargli quantitativi notevoli di avversione e rancore. Anche questa mutazione è scritta nel carattere nazionale: dopo un po’, quello che fino ad allora era considerato il “carnefice” è visto come vittima, o almeno con occhi comprensivi, benevoli. Ora, il vento sembra essere cambiato. Fino a fare avvertire, da più punti, un’onda che sembra avanzare verso Renzi e il suo partito: una suggestione o un rumore che si avvicina ?
Insuccessi economici e temperatura sociale potrebbero giocare contro il governo
Lo sapremo tra pochissimo, quando le urne saranno chiuse e si saprà il risultato del secondo turno; di questo che è un vero e proprio test politico il quale, fino alla vigilia, il capo del governo ha cercato di allontanare da sé come calice amaro, usando l’argomento che tutti prima di lui hanno sempre usato: è un voto locale che non influisce sull’esecutivo e sugli equilibri politici che lo sorreggono. Difficile cosa – anche per un abile manipolatore di uomini e cose qual è Renzi – sottrarsi alle leggi dure della politica, quasi “mitiche” per la loro ineluttabilità: l’effetto di un’elezione di “medio termine”, in grandi città dove vivono milioni di cittadini, è una di queste. Il voto è politico. Molto. E politicamente condizionante. Ed è arrivato a un punto che registra il rialzo della temperatura sociale dovuto a scarsi risultati sul fronte dell’economia e dell’occupazione. E a traccheggiamenti sulle pensioni, indice di una certa confusione nel governo su un tema delicatissimo. E in coincidenza col tempo in cui nella mente degli italiani é maturato il passaggio della figura di Renzi da “rottamatore” a capo – dai toni assertivi e di frequente fastidiosi – dell’establishment politico del paese. Probabilmente, dopo due anni e mezzo di governo, non funziona più il gioco di fare l’antipolitico da Palazzo Chigi, cioè dalla stanza dei bottoni; per giunta con tutti i poteri maggiori del paese schierati dalla parte di Renzi e con una benevolenza dei media, di cui raramente hanno goduto i suoi predecessori. I fischi – dall’assemblea di Confcommercio direttamente al presidente del Consiglio e quelli più freschi alla numero due del governo, la ministra Boschi che è andata a “camminare” sulle acque dell”Iseo – sono un segnale di dissenso, rozzo quanto si vuole, ma sempre abbastanza vero e preoccupante per chi li riceve. Una preoccupazione che sembra essere stata colta dalle antenne più esposte del partito del presidente del Consiglio che sono i suoi candidati a primo cittadino nelle grandi città: tutti impegnati, abbastanza esplicitamente, a segnare una distanza tra se stessi e il loro premier-leader. Le urne ci diranno quanto queste ansie fossero giustificate. Potrebbero anche essere una reazione psicologica determinata dalla propaganda “nemica”: così efficace da convincere anche le “vittime”. Sembrerebbe di no, ma in politica accade anche questo.