Il Foglio: tutti in azzurro, una pernacchia a chi si augura la disfatta
Una maglia azzurra in vendita a due euro col quotidiano Il Foglio sabato 2 luglio, giorno della sfida della nazionale di Conte con la temibile Germania di Löw. Un’iniziativa che nasce, spiega il direttore Claudio Cerasa “per fare una bella pernacchia a chi tifa contro l’Italia”. Ma chi sarebbero questi antipatrioti contro cui si scaglia Il Foglio? Stiamo parlando di una categoria di politici e opinionisti iscritti d’ufficio alla “nazionale degli indignati”, quelli che detestano l’utilizzo delle vittorie sportive per nascondere l’apocalisse che è alle porte e che vedono negli applausi alla vittoria calcistica degli azzurri una pericolosa distrazione di massa.
Ecco cosa scrive Cerasa, ricordando che già nel 2012 c’erano autorevoli esponenti della “nazionale degli indignati” (Travaglio, Grillo, Salvini) che gufavano contro l’Italia: “E no, dice l’indignato collettivo. E no. E’ inaccettabile. E’ intollerabile. E’ insostenibile. E per di più, disperazione finale e totale, il tutto succede non con la Nazionale dei magistrati ma con una Nazionale ideata da un presidente impresentabile come Carlo Tavecchio (Dio lo benedica), allenata da un commissario tecnico osannato nonostante il suo passato chiacchierato (Conte è stato indagato, poi scagionato), guidata da un capitano acclamato nonostante il suo passato chiacchierato (Buffon è stato indagato, poi scagionato), difesa da un vicecapitano applaudito nonostante il suo passato chiacchierato (Bonucci è stato indagato, poi scagionato). Un orrore, una vergogna, un insulto”.
Maglia azzurra e tricolore dunque non per cavalcare il patriottismo sportivo ma per ricordare a chi pratica il mestiere dell’indignazione permanente che si può semplicemente fare il tifo per una vittoria e non c’è l’obbligo di tifare perché tutto vada sempre peggio, per “aprire il ventilatore della melma”. Un’iniziativa politica prima ancora che sportiva, un modo per superare il pessimismo strumentale, per rilanciare il linguaggio unificante del tricolore a dispetto della lingua della sventura e della sfiga che non vede l’ora di dipingerci sempre e comunque come una nazione schiava di Berlino.