Tumori, attesa infinita per avere i nuovi farmaci: la rabbia dei pazienti
Tumori, tanta paura e dolore a cui si è sempre di più costretti ad associare la pena aggiuntiva di estenuanti, lunghe attese e il limite di un’assistenza incompleta, quando non addirittura totalmente deficitaria: questo il disarmante quadro fornito dall’VIII Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, presentato dalla Federazione Italiana Associazioni di Volontariato in Oncologia (Favo) per la XI Giornata del malato oncologico.
Tumori, lunghe attese per avere i farmaci
Una falla enorme del nostro sistema sanitario aggravata anche dal confronto perdenbte con altre realtà europee. E allora, è bene sapere che, se nel Bel Paese occorre oltre un anno, per la precisione 427 giorni, per accedere ai farmaci anticancro innovativi – è quanto dati e report continuamente aggiornati denunciano devono attendere i pazienti oncologici italiani – l’attesa media in Francia è di 364 giorni, di 109 nel Regno Unito e di appena 80 in Germania. Una situazione, è evidente, quella sottolineata dall’VIII Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici – presentato dalla Federazione Italiana Associazioni di Volontariato in Oncologia (Favo) per la XI Giornata del malato oncologico – costellata di criticità di varia origine e diversa gravità, e punteggiata sempre e comunque dall’aggravio delle lunghe attese per potersi curare con le terapie di ultima generazione, ma anche dalle «troppe e profonde» differenze tra le regioni quanto ad accesso a cure ed assistenza. L’Italia si presenta dunque, denuncia la Favo, a macchia di leopardo, ed è forte la rabbia delle associazioni dei pazienti per «l’occasione perduta» della riforma costituzionale recentemente approvata.
Sos terapia del dolore e cure domiciliari
Il modello di regionalismo delineato nel nuovo Titolo V della Costituzione, denuncia infatti il presidente Favo Francesco De Lorenzo, «continua a non attribuire allo Stato l’esercizio dei poteri sostitutivi, in caso di necessità, a tutela della concreta attuazione dei Livelli essenziali di assistenza Lea ed il nuovo testo dell’art. 117 non consente il superamento delle disparità tra aree del Paese nella disponibilità dei trattamenti innovativi». Nel nostro Paese inoltre, denuncia sempre la Federazione, «manca la rete della terapia del dolore e le cure domiciliari sono di fatto uscite dai Lea regionali; vengono infatti attivate solo per il 48,1% dei pazienti al momento delle dimissioni, mentre per il restante 51,9% provvedono i familiari». E non va dimenticato che l’accesso a beni e servizi, come i prodotti assicurativi e bancari, «è ancora oggi negato a chi ha un passato di malato».