Ttip, un trattato con molte ombre: ecco i punti più controversi
Arriva anche a Roma la mobilitazione contro il Ttip (trattato di libero scambio tra Ue e Stai Uniti) mentre solo pochi cittadini conoscono la portata di un accordo che modificherebbe radicalmente il nostro destino di “consumatori”. Si tratta davvero di una micidiale arma delle multinazionali per superare le leggi a difesa della salute, dell’ambiente e del lavoro – come lo descrivono i manifestanti dalle piazze di mezza Europa – o è una partnership che potrà rilanciare crescita e occupazione? Questi i temi più importanti legati al Ttip.
LARGO AL LIBERO SCAMBIO – I negoziati, iniziati nel 2013, mirano ad abolire dazi per 3,6 miliardi di euro ed eliminare la duplicazione dei controlli e degli adempimenti amministrativi. Nascerebbe così una mega-area di libero scambio che riguarderebbe il 40% del commercio mondiale con benefici di 120 miliardi per l’Europa e 95 miliardi per gli Stati Uniti, secondo i promotori. Secondo i detrattori, al contrario, il Ttip metterebbe a rischio 600 mila posti di lavoro.
GLI INVESTITORI POTREBBERO DENUNCIARE GLI STATI – Il punto più controverso del trattato riguarda la procedura di protezione degli investimenti, con la quale le imprese potrebbero citare in giudizio gli stati per l’adozione di norme che li danneggiano. L’ipotesi iniziale era di affidare le causa a collegi arbitrari privati (gli Isds) ma, dopo la bocciatura dell’Europarlamento, Bruxelles ha proposto di istituire una Corte per gli investimenti. Il timore degli oppositori è che le multinazionali possano opporsi a ogni legge contro i loro interessi tenendo in scacco i governi (sull’esempio dei produttori di sigarette che hanno fatto causa a Uruguay e Australia per le norme anti-fumo). Inoltre i contestatori sono contrari alla possibilità per le multinazionali (e altri stakeholder come i sindacati) di intervenire nell’organismo di cooperazione normativa che fisserebbe le priorità per le autorità di regolamentazione.
I NODI SALUTE E SICUREZZA – Dai documenti svelati da Greenpeace sono emerse le pressioni americane perché l’Europa alleggerisca le tutele di sicurezza e ambientali. Su questo fronte i negoziatori europei resistono e assicurano che nessuno standard – sociale, sanitario o ambientale – verrà abbassato e sarà mantenuto il principio di precauzione secondo il quale deve essere provata la non nocività dei prodotti prima di venderli.
LARGO AL FALSO MADE IN ITALY? – Un altro nervo scoperto, sul fronte alimentare, è la tutela delle indicazioni geografiche dei prodotti (dal Prosciutto di Parma al Chianti) richiesta dall’Ue, che ha presentato una lista di circa 200 specialità da proteggere dalla contraffazione. Gli Stati Uniti si oppongono.
VETI A STELLE E STRISCE – Altri niet statunitensi riguardano l’apertura del mercato degli appalti pubblici, oggi regolato Oltreoceano dal Buy American Act, e di quello dell’energia, dove è in atto la corsa allo shale gas (il gas da argille ha attirato notevole interesse economico negli ultimi due decenni soprattutto negli Stati Uniti, dove la produzione di gas da scisti è passata, nell’ultimo decennio da 10 a 140 miliardi di metri cubi, circa il 23 % del fabbisogno di gas naturale annuale del paese). I nodi ancora da risolvere rendono necessaria “notevole flessibilità da entrambe le parti”, secondo l’ultimo report Ue, per arrivare alla firma entro il 2016, come auspicato dal presidente Usa Barack Obama. Ma sulla strada di un accordo in tempi brevi si è messo il presidente francese Francois Hollande che dicendo che, al punto in cui sono i negoziati, “la Francia dice no”. Se l’intesa non fosse raggiunta prima delle elezioni di Washington a novembre rischierebbe di saltare, con una nuova amministrazione Usa contraria, o di slittare verso il 2020 dopo le elezioni francesi, tedesche e italiane.