Referendum, l’abbaglio della Consulta: ma non votare sulle trivelle è un diritto
Chissà se un attimo dopo aver fatto discendere la qualifica di «buon cittadino» dalla partecipazione al referendum anti-trivelle, nella testa di Paolo Grossi, presidente della Corte Costituzionale, sarà affiorato il dubbio di aver in tal modo clamorosamente invaso il campo della politica e di essersi schierato dalla parte dei no-triv. Votare al referendum, infatti, non rientra nell’esercizio di quel «dovere civico» spruzzato dalla Costituzione sulle consultazioni tra partiti, ma è un diritto di cui ogni «buon cittadino» decide o meno di avvalersi quando è chiamato ad esprimersi su un quesito proposto almeno da 500mila elettori o – come nel caso di specie – da almeno cinque consigli regionali. Il «buon cittadino» può scegliere di non votare e restare tale perché – sempre la Costituzione – stabilisce che un referendum è valido se vota la metà più uno degli aventi diritto. Ne consegue che se un «buon cittadino» ritiene sbagliato il quesito e devastanti le conseguenze politiche che ne deriverebbero, può liberamente scegliere di vanificarlo non opponendovi un “sì” o un “no” bensì puntando a far mancare il quorum. Che cosa ci sia di moralmente disdicevole, di politicamente scorretto o di costituzionalmente sbagliato in tutto questo non è dato sapere. L’invito all’astensione è stato praticato da partiti, gruppi, associazioni e persino da icone della sinistra referendaria come Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky. In realtà, al di là delle polemiche, la sortita di Grossi è solo l’ennesima conferma della deriva interventista dei poteri terzi o neutrali nei processi politici già evidenziata da una ricerca pubblicata un paio d’anni fa da il Mulino sotto il titolo “La qualità della democrazia in Italia“. Solo un osservatore in malafede potrebbe infatti negare che in Italia la politica si è ormai trasformata in una sorta di terra di nessuno, aperta alle incursioni di poteri “irresponsabili” – cioè che non rispondono del loro agire al sovrano legale e quindi al popolo – la cui vittima designata è appunto la democrazia rappresentativa con tutti i suoi limiti, i suoi difetti e i suoi demeriti. Proprio quella che Winston Churchill definiva il «peggiore dei sistemi politici ad eccezione di tutti gli altri». Ridotto all’osso, il problema è tutto qui. Non stupisce, quindi, se l’alternativa (anche qui il copyright è dello statista britannico) tra la “peggiore Camera” e la “migliore anticamera” sia davvero la prossima, drammatica scelta degli italiani.