Sarà Di Maio il nuovo leader a 5 stelle? La lotta sulle spoglie di Casaleggio
E stata già venduta la pelle dell’orso pentastellato prima di averlo scoiato. È stato dato per acquisito il trionfo di Luigi Di Maio, non solo visto come erede del defunto Gianroberto Casaleggio, ma già dipinto quale numero uno in assoluto del movimento e quindi candidato a palazzo Chigi alle prossime politiche. Ma la gara è tutt’altro che chiusa. A quel posto ambiscono pure Alessandro Di Battista, considerato il ministro degli esteri del M5s, ma anche il napoletano Roberto Fico, presidente della Commissione di vigilanza Rai. In corsa anche Danilo Toninelli, Vito Crimi e Roberta Lombardi, scrive “Italia Oggi“.
È stato dato per acquisito il trionfo di Luigi Di Maio
In altre parole, dovrebbe essere il futuro concorrente di Matteo Renzi, posto che si giudica il presidente del consiglio sicuro ricandidato, mentre nel centro-destra non solo non emerge alcun nome, ma addirittura si dubita della possibilità di coagularsi. C’è del vero, in tutte queste previsioni. Di Maio è stato abile, molto abile, nel costruirsi un’immagine, rivolta verso gli elettori non grillini, di personaggio rassicurante, severo nelle espressioni ma pronto a esaminare i problemi concreti, insomma il volto pulitino e sereno del movimento. Aiutato dal ruolo istituzionale (occupa la più alta carica pubblica in capo al M5s, come vicepresidente a Montecitorio) si è accreditato come fosse un moderato, non un rivoluzionario, capace di affrontare la realtà senza perdersi in battute di mera e improduttiva violenza verbale.
Moderato e rispettoso delle direttive: ecco Di Maio
Nello stesso tempo, però, è sempre stato rispettoso, con una puntualità quasi esasperata, delle direttive giunte dal vertice dei cinque stelle. Non solo: ci ha tenuto a ricordare in ogni circostanza l’uno vale uno, il rispetto delle regole interne, le decisioni assunte dalla base. Ovviamente a chi ne segua le esternazioni non è sfuggito il suo giustizialismo, così forcaiolo che potrebbe destare invidia in un Marco Travaglio. Ciò non toglie che nel piccolo mondo grillino siano sorte invidie e soprattutto pullulino le ambizioni. Già la nomina del direttorio aveva sollevato pesanti riserve, come sempre rimaste nel mugugno delle riunioni al chiuso (altro che le trattative da riprendersi in diretta televisiva, come bar rivano i grillini tré anni fa!), vuoi per l’assenza di senatori, vuoi per l’eccesso di campani, vuoi per i singoli nomi scelti.