Dalla Banda della Magliana al teatro: «Io, comunista e boss. Ecco la mia vita»
Ventotto anni di prigione, svariati omicidi, soldi a miliardi, ma nulla di cui pentirsi, anche se hai fondato la Banda della Magliana e ti chiami Antonio Nino Mancini, detto Accattone. «Un pentito è uno che ti dà uno schiaffo e poi ti chiede scusa perché s’è reso conto che ha sbagliato. Ma io che ho sbagliato? Io sono stato sempre consapevole delle cose che ho fatto: poi però si diventa un’altra persona e allora ho iniziato a collaborare con la giustizia, quindi non chiamatemi pentito. Semmai, infame». È uno dei passaggi del riuscito spettacolo che ruota attorno ad uno dei grandi protagonisti della malavita romana per 30 anni, Nino Mancini, Il mondo di mezzo, dalla Band della Magliana a Mafia Capitale, curato dal regista e attore Milo Vallone che ha debuttato al Massimo di Pescara.
Quei giorni della Banda della Magliana
Mancini sul palco racconta la sua vita da boss, incalzato da Vallone, sotto forma di teatro civile, di un lungo processo che va dalle gesta criminali delle batterie romane, fine anni ’70, poi confluite nella Banda della Magliana e, dalle quali nacquero le basi di quella che oggi viene definita Mafia Capitale. Un testo scritto e una gestione «a braccio», nella quale Mancini ricorda le sue origini proletarie e le sue idee comuniste «ma io volevo essere un comunista con la Ferrari, non avevo ancora la coscienza politica di oggi», anche perché ai giovani d’oggi bisogna «raccontare quel delirio di onnipotenza che avevamo noi, che eravamo strafottenti, perché tutti i romani sono un po’ così. Poi però è arrivato Massimo Carminati, che era già una cosa diversa». Episodi e curiosità, da San Basilio divisa in due «di qua i comunisti proletari che andavano a lavorare nei cantieri e di là quelli coi macchinoni e ben vestiti, che erano i ladri», ai ricordi dei “compagni di batteria”, tipo «Renatino De Pedis, che se non fosse morto ammazzato, oggi ce lo saremmo ritrovati in Parlamento». Finale con domande dal pubblico e l’immancabile aneddoto «so’ stato in carcere anche a Pescara, ho fatto una rapina anche a Bussi sul Tirino», il tutto con l’ironia romanesca, quel tanto che basta per non banalizzare il crimine.