Boschi interrogata dai PM: spuntano tutte le pressioni della Guidi

5 Apr 2016 8:19 - di Redazione

«Era necessario sentirla». Sta tutto qui, in questa lapidaria frase pronunciata dal procuratore della Repubblica di Potenza Luigi Gay, l’esito dell’incontro a Palazzo Chigi fra i magistrati titolari dell’inchiesta lucana e il ministro per i rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi, interpellata per via dell’emendamento che ha sbloccato le trivellazioni dell’impianto Tempa Rossa in Basilicata e che ha portato, per via di una telefonata inopportuna al convivente indagato, alle dimissioni dell’ormai ex ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi, si ricorda su “Il Tempo”.

Un faccia a faccia, quello dei pm con il ministro Boschi durato circa due ore

A Palazzo Chigi, oltre al procuratore capo, erano presenti anche i pm Francesco Basentini e Laura Triassi, nonché il magistrato della Direzione nazionale antimafia Elisabetta Pugliese. Quello di ieri, però, non è il primo caso di «chiacchierata» fra pm e personalità istituzionali a Palazzo Chigi. Già in passato, infatti, più di un pubblico ministero ha varcato quella soglia. Nel 2002, ad esempio l’«onore» toccò all’allora pm palermitano Antonio Ingroia e al suo collega Domenico Gozzo. I due si recarono a palazzo Chigi per sentire Silvio Berlusconi come «persona informata sui fatti» e «imputato di reato connesso archiviato» nell’ambito del processo per mafia al senatore Marcello Dell’Utri.

Prima della Boschi, solo Berlusconi è stato sentito a Palazzo Chigi

Furono giorni complicati e pieni di polemiche, soprattutto perché i giudici, nonostante la richiesta opposta di Ingroia, decisero che l’udienza si sarebbe svolta a porte chiuse, dunque senza la presenza dei giornalisti, «per salvaguardare la sicurezza del presidente del Consiglio». In quell Occasione Berlusconi si avvalse della facoltà di non rispondere, tanto che Ingroia commentò laconico: «Un’occasione mancata per accertare la verità su Dell’Utri». L’anno dopo ci fu quasi una replica. Stavolta il Cav, sempre nelle vesti di premier, si rivolse, da imputato, ai magistrati di Milano per chiedere di rilasciare «dichiarazioni spontanee» sul caso Sme, e di farlo nella sede istituzionale di palazzo Chigi. Ma il pm Boccassini replicò: «È un diritto sacrosanto dell’imputato rendere dichiarazioni spontanee, ma deve farlo in quest’aula». Non se ne fece nulla.

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