Una ragazzina nomade: «Vi racconto le violenze che subivo nel campo rom»

10 Mar 2016 8:48 - di Fulvio Carro

«Mi mandavano a chiedere l’elemosina tutti i giorni perché avevo il volto sfigurato e facevo pietà. Quel che guadagnavo dovevo consegnarlo alla mamma e al suo amico nel campo rom. Ma se non guadagnavo abbastanza, erano botte. E se non pulivo per bene la baracca, erano botte». Il racconto di A., una ragazzina nomade è echeggiato in un’aula del tribunale di Torino nel corso del processo terminato con la condanna della donna, Carmen B., 31 anni, a tre anni e quattro mesi di carcere per maltrattamenti.

Ecco che cosa accadeva nel campo rom

«Una storia commovente – ha detto il pm Dionigi Tibone – che ricorda quella di Cenerentola. Ma Cenerentola, almeno, abitava in una soffitta. Questa è peggio». La ragazzina è stata costretta a mendicare dal 2007, quando di anni ne aveva cinque. L’errore degli sfruttatori è stato, negli ultimi tempi, quello di portarla sempre davanti allo stesso supermercato. Alcuni clienti abituali hanno finito per interessarsi alla sua situazione. E poi, nel 2013, hanno avvertito la polizia municipale. Emerse che una delle sorelline di A. raccoglieva elemosine, come lei, ma davanti all’ospedale Molinette, e portava gli spiccioli nel campo rom di Lungo Stura Lazio, dove entrambe risiedevano con la mamma, il convivente e altri cinque bimbi piccoli. In un tugurio che era A. a dover tenere pulito combattendo con nugoli di topi. «Sono la maggiore dei fratellini – ha spiegato nel corso di una audizione protetta – e mi sentivo responsabile per loro. Così, qualche volta, trattenevo un po’ di monete per comperare una coperta, una brioche, dei pannolini. Una volta che la mamma se ne è accorta ho detto che erano regali di una signora. Altrimenti sarei stata picchiata». Dopo l’apertura dell’indagine, le due bambine del campo rom sono state affidate a una comunità. «E da allora – ha detto A. – ho fatto la vita più bella del mondo». L’iter per l’adozione è cominciato. La mamma invece è fuggita in Romania portando gli altri figli con sé: con la sentenza è stata sospesa dalla potestà genitoriale per sei anni e otto mesi. Il convivente si è reso irreperibile e, quindi, per lui il processo è sospeso. Il tutore di A. e della sorellina, l’avvocato Luca Icardi, si è costituito parte civile e ha ottenuto il diritto a un indennizzo complessivo di 100mila euro.

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