Truffe sull’oro, maxi-retata: ci sono anche i “compagni” di un centro sociale
Una frode milionaria nel settore del commercio dell’oro è stata scoperta dalla Guardia di finanza che, coordinata dalla Procura di Vicenza, ha eseguito un centinaio di perquisizioni in tutta Italia, indagando 47 persone. Sono 14 le province interessate dall’operazione “Marchio sfrenato”, che coinvolge 36 società e la filiale romana di una banca nazionale dove le società fittizie avevano aperto i conti correnti utilizzati per le frodi. Solo tra il 2013 e il 2014 il sistema di cessione e rivendita dell’oro, dalle società sane a quelle “cartiere”, ha permesso una frode dell’iva per 25 milioni di euro. Le “cartiere”, completamente sconosciute al Fisco, erano amministrate da soggetti quali idraulici, parcheggiatori abusivi, mendicanti senza fissa dimora, cittadini stranieri residenti all’estero, ma domiciliati tutti in un hotel milanese.
Nel traffico d’oro coinvolto anche un centro sociale
Il sistema di frode, basato sulla creazione e sull’interposizione fittizia di società “fantoccio” nella filiera commerciale, ha sfruttato l’emissione di fatture false per un totale di oltre 350 milioni di euro, che potrebbero aumentare con la ricostruzione dei rapporti emersi dalle recenti perquisizioni. L’organizzazione, agendo artificiosamente sull’attestazione di purezza dell’oro – pari o superiore ai 325 millesimi, oppure inferiore a questa soglia – aggirava in sostanza il regime di applicazione o meno dell’Iva, una delle discipline fiscali più complesse. L’operazione è stata coordinata dal sostituto procuratore di Vicenza Luigi Salvadori. Il nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza del capoluogo berico, in collaborazione con i colleghi della Gdf di Matera e di altri 10 reparti delle “fiamme gialle” di diverse regioni, hanno eseguito un centinaio di perquisizioni personali e locali in 14 province: Vicenza, Milano, Roma, Bergamo, Lecco, Como, Alessandria, Ascoli Piceno, Arezzo, Bari, Napoli, Caserta, Matera e Potenza. Non solo gli amministratori erano dei prestanome, ma anche le sedi legali delle società cartiere erano fittizie: alcune proprio inesistenti, altre dichiarate presso negozi vuoti, fast food, in un caso perfino un centro sociale di Roma. Il complicato meccanismo messo in piedi dall’organizzazione prevedeva che le società sane vendessero, almeno sulla carta, oro industriale, di purezza pari o superiore a 325 millesimi, alle società fittizie, le “cartiere”. La purezza minima di 325 millesimi faceva sì che le vendite dell’oro avvenissero con il regime di non imponibilità dell’Iva, definito “reverse charge”: un sistema che permetteva alle società “cartiere” di non pagare l’Iva sull’acquisto. Quindi, pur non eseguendo alcun tipo di lavorazione sul metallo, le “cartiere” rivendevano la merce riducendone il titolo di purezza. In questo modo la potevano cedere aggiungendo l’Iva, maturando così un debito da versare all’Erario. Conclusa l’operazione e incassato il denaro della vendita, i soldi “sparivano” dai conti correnti, lasciando gli improvvisati amministratori con debiti milionari nei confronti dello Stato.
Un sistema collaudato su più livelli
La merce, proveniente dalle società sane giungeva ad un destinatario finale reale, passando attraverso le cartiere, ma anche attraverso ulteriori società filtro, che evitavano un contatto commerciale diretto destinatario finale della merce (società sana ed operativa) e le società cartiere. Le perquisizioni hanno portato al sequestro di molta documentazione riconducibile alle società fittizie, oltre che alle fatture milionarie incriminate, che ora saranno analizzate dagli investigatori per quantificare al meglio gli importi e chiarire le posizioni di tutti gli indagati. Molti dei soggetti coinvolti si sono nel frattempo resi irreperibili, portando con sé la propria parte di bottino – il valore dell’Iva incassata, e mai più versata al Fisco – e tornando nei paesi d’origine.