Pentito accusa: «Quell’ex-terrorista rosso ora è un boss della ‘ndrangheta»

30 Mar 2016 16:48 - di Francesca De Ambra

Da “Prima Linea” alla ‘ndrangheta. Il protagonista di questa singolare parabola umana e politica (tutta da accettare, ovviamente) è Francesco D’Onofrio. Il nome di D’Onofrio dice poco anche a chi ha seguito le vicende del terrorismo rosso degli “anni ‘di piombo” ma è quello di un ex-militante dei “Colp” (Comunisti organizzati per la liberazione del proletariato), condanno negli anni Ottanta per i suoi legami con i terroristi di Prima Linea, organizzazione che contendeva alle Brigate Rosse il monopolio della lotta armata nella sinistra extraparlamentare.

Francesco D’Onofrio fu condannato per banda armata

Ad accusare D’Onofrio di essersi trasformato nel tempo in un boss della ‘ndrangheta “piemontese” è un pentito che collabora con la procura di Torino. Secondo il collaboratore di giustizia, D’Onofrio ha raggiunto un grado così alto all’interno dell’organizzazione che, in gergo, lo si definisce “finito”, nel senso che non può più salire ulteriormente. Ma D’Onofrio, nel 2011 coinvolto nell’inchiesta Minotauro sulla ‘ndrangheta in Piemonte, nega con forza: «Con la ‘ndrangheta – giura – non c’entro niente».

L’accusato si difende: «Con la ‘ndrangheta non c’entro niente»

D’Onofrio, che ora ha 61 anni, è originario della provincia di Vibo Valentia, in Calabria. Proprio in questi giorni si sta celebrando presso il tribunale di Torino un processo in cui il terrorista risponde del possesso di dieci kalashnikov e di altre armi. Sono due i pentiti che hanno parlato di lui (il secondo verrà interrogato il 12 luglio). «Ma con la ‘ndrangheta – ha tenuto a ribadire – non c’entro niente. La verità è che con il mio passato mi sono fatto un nome. E allora, forse per darsi importanza agli occhi di qualcuno, cercano di tirarmi dentro. Ma sono completamente estraneo a quelle condotte e a quelle mentalità. Molti di loro li avevo conosciuti in carcere, e alcuni mi stavano pure antipatici».

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