Mafia, in manette l’imprenditore “double face”: stava nell’antiracket

30 Mar 2016 12:31 - di Augusta Cesari

Altri cinque arresti nell’ambito delle indagini per la cattura del boss latitante Matteo Messina Denaro, i carabinieri della Compagnia di Alcamo e del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Trapani hanno arrestato il capo della famiglia mafiosa di Castellamare del Golfo, Mariano Saracino, 69 anni, e Vito Turriciano, 70 anni, Vito Badalucco, 59 anni e Vincenzo Artale, 64 anni. Sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione aggravata, danneggiamento aggravato, fittizia intestazione aggravata, frode nelle pubbliche forniture e furto. Al blitz hanno partecipato oltre 100 militari dell’Arma, con l’ausilio di un velivolo del 9/o Nucleo Elicotteri di Palermo. L’inchiesta, coordinata dalla Dda di Palermo, guidata dal procuratore Francesco Lo Voi, è stata avviata nel 2013 e ha permesso di scoprire l’attuale organigramma mafioso della cupola di Castellammare, enclave storica delle cosche trapanesi. L’attività investigativa è nata dopo una serie di attentati a imprenditori edili e del movimento terra. I carabinieri hanno scoperto che i danneggiamenti erano da ricondursi al contesto mafioso legato alla famiglia di Castellammare del Golfo, che fa parte del mandamento di Alcamo, e al cui vertice c’è Saracino, già condannato per associazione mafiosa e da sempre legato alla storica “famiglia” alcamese dei Melodia. Dalle indagini è venuto fuori che un gruppo di persone imponeva la fornitura di calcestruzzo a diversi imprenditori impegnati in lavori privati o in opere pubbliche.

L’Antimafia di facciata

Ufficialmente era tra i promotori dell’associazione antiracket di Alcamo, paese del trapanese, regno del boss latitante Matteo Messina Denaro. Di fatto – emerge dalle indagini dei carabinieri di Trapani-  godeva del supporto del clan, che gli avrebbe assicurato una sorta di monopolio nella fornitura del calcestruzzo.«E’ la storia “doubleface” di Vincenzo Artale, 64 anni, casa, affetti e amici degli amici ad Alcamo, «padroncino» del settore calcestruzzi, proprietario di una betoniera distrutta nel 2006 da un incendio, una intimidazione seguita da un’altra minaccia piombata sulla profumeria gestita dalla moglie sempre nel centro di Alcamo. Da allora eccolo pronto a firmare petizioni e mettersi in prima fila. Come è accaduto il 25 maggio dell’anno scorso al Centro congressi del paese, nella Sala Rubino, applausi e trionfo per il nuovo proboviro dell’associazione Antiracket di Alcamo», si legge sul Correre della Sera. Una volta ancora l’antimafia di facciata viene “svelata” da un’inchiesta. L’imprenditore favorito dalla cosca è, secondo quanto hanno accertato le indagini, coordinate dalla Dda di Palermo, Vincenzo Artale, responsabile di una società del settore del calcestruzzo. Ad Artale, che fa parte dell’associazione antiracket e antiusura di Alcamo, di fatto la mafia avrebbe garantito una posizione di forza all’interno del mercato. Con pressioni ed intimidazioni, i committenti di lavori privati o le ditte appaltatrici venivano costretti a rifornirsi di cemento dall’imprenditore, che si è aggiudicato tutte le maggiori forniture nei lavori in zona. Diversi sono stati gli episodi estorsivi accertati nel corso dell’indagine, alcuni dei quali provati anche con la collaborazione delle vittime. Nel corso dell’operazione è stata sequestrata inoltre l’azienda “SP Carburanti s.r.l.”, con sede legale a Castellammare del Golfo, considerata fittiziamente intestata a prestanome, ma riconducibile alla famiglia mafiosa di Castellamare del Golfo.

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