L’utero in affitto è un contratto e il bimbo ne è l’oggetto: non ditelo al Pd

5 Feb 2016 5:03 - di Redazione

Provate a digitare al computer queste tre parole: «Maternità, surrogata e costì». Internet vi aprirà un mondo che probabilmente ignorate. È un universo fatto di agenzie e cliniche specializzate, uffici legali e mediatori che offrono, a pagamento, la possibilità di avere un bambino. I centri si trovano in California o in Canada, ma anche in Ucraina e in Russia, qualche volta in Paesi che consideriamo Terzo mondo o quasi. Spesso i siti di queste cliniche sono in italiano e assicurano di avere personale che parla la nostra lingua, perché in Italia la richiesta di bambini da comprare è alta. In teoria la legge vieterebbe l’acquisto di un neonato, ma la legge è sempre aggirata.

Utero in affitto: è sufficiente che uno degli acquirenti fornisca il suo seme e il gioco è fatto.

Si trova una donna che si presta a farsi impiantare un ovulo fecondato, quasi mai suo, e prima del parto la madre del nascituro dichiarerà di rinunciare a qualsiasi pretesa sul bambino che nascerà. Ufficialmente la donna lo fa per motivi umanitari, ossia per la gioia di rendere padri o madri dei perfetti sconosciuti. In realtà lo fa a pagamento, perché non ha altri mezzi per mantenersi. Che sia così lo dimostra il fatto che alcuni siti, più espliciti di altri, non si fanno scrupolo di pubblicare nel dettaglio i costi dell’operazione, che vanno da un minimo di 50mila euro ad un massimo di 100.

Totale: da 50 a 100 mila euro. Tutto è regolato da un preciso contratto

Ecco, dopo aver visto tutto ciò che c’è da vedere in rete sulla materia, guardatevi l’intervista che le Iene, il programma tv di Italia Uno, hanno fatto a Sergio Lo Giudice, uno dei senatori Pd che insieme con Monica Cirinnà è firmatario della famosa legge sulle unioni civili in discussione in Parlamento. Lo Giudice, che è presidente onorario dell’Arcigay, è padre di un bambino di 20 mesi. O meglio: il padre ufficialmente è il suo compagno, con cui vive da dieci anni e che ha sposato quattro anni fa in Norvegia. È lo stesso senatore del Pd ad averlo spiegato: lui a rigore di legge è per il bambino un perfetto estraneo, perché il padre biologico è il compagno. Ma Lo Giudice dice anche altro oltre a questo. Racconta ad esempio che «la persona – così la chiama – che ci ha aiutato (cioè che ha portato in grembo il bambino) è una persona che voleva aiutare due uomini a realizzare il sogno di avere un figlio».

Lo stesso firmatario della legge Cirinnà ad aggiungere che l’utero in affitto non è gratis

In California, tra costi di agenzia, spese legali e sanitari, la coppia avrebbe speso tra gli 80 e i 100mila euro, ma alla domanda se la donna sia stata pagata, il senatore si è rifiuto di rispondere. Non solo. Alla sola idea che in questo modo e con la famigerata stepchild adoption un bambino diventi un oggetto da comprare, Lo Giudice ha replicato dicendo che «chi fa affermazioni di questo genere dovrebbe vergognarsi di averlo solo pensato», perché un conto è andare a prendersi un bimbo in California, un altro è andare in India o in Thailandia, là dove è possibile che «le donne siano effettivamente sfruttate».

Si parla di “maternità surrogata” per evitare di dire la verità, ossia utero in affitto

Eh, già. Se la donna che ha partorito un figlio su ordinazione per conto di una coppia di perfetti sconosciuti è americana, non c’è sfruttamento. Lo fa volontariamente, perché le piace portare in grembo un figlio non suo. È contenta di vedere il suo fisico gonfiarsi per un bimbo che non conosce. È felice di sentire le gambe pesanti, di avere la schiena a pezzi a fine giornata, dopo che ha inseguito i suoi marmocchi. È lieta di non dormire la notte perché sente muoversi il feto ed è immensamente allegra quando ha la nausea. E poi, al solo pensiero di farsi un cesareo per partorire una creatura che non vedrà crescere e che non allatterà e sulla quale ha rinunciato ad ogni diritto, fa i salti di gioia. Mi dispiace caro senatore prò tempore (la definizione non vuole essere offensiva: è dello stesso Lo Giudice). “Chi deve vergognarsi non è chi parla di un bambino trasformato in oggetto da comprare. Ma chi è tanto ipocrita e tanto egoista da ignorare come stiano le cose. Che sia americana o indiana non cambia la questione: la donna che partorisce in conto terzi lo fa per soldi, non perché svolge una funzione umanitaria. Si vende. Vende – o meglio affitta – il proprio utero. Chiamare le cose in altro modo («maternità surrogata») o renderle legali (con un bei contratto depositato in tribunale) non cambia la questione”, scrive Maurizio Belpietro su “Libero”.

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