La”riforma” Renzi-Boschi è “bullismo” che distrugge la Repubblica

16 Feb 2016 10:46 - di Roberto Menia

No, non abbiamo cambiato idea. Né sul presidenzialismo né sull’esigenza di modernizzare l’infrastruttura costituzionale italiana. Semplicemente la “riforma” Renzi – Boschi è un’azione propagandistica e “da bulli” che non fa bene alla democrazia del Paese e innesca quella miccia che distrugge il concetto stesso di Repubblica. Quando un premier, come vorrebbe Renzi,  si trova nella condizione di poter scegliere il Presidente della Repubblica e la maggioranza dei giudici costituzionali (oltre ad essersi assicurato i capilista ed un premio di maggioranza spropositato) ecco che l’ombra dell’assenza totale di una minima forma di controlli e contrappesi si staglia minacciosa su un leaderismo di cui, al netto di idee e sensibilità soggettive, non si sente il bisogno. Tutt’altro.

Alzando lo sguardo su ciò che accade in altri Paesi non si trova nulla del genere. I campioni del potere e del liberalismo, gli Stati Uniti, hanno sì un Presidente forte e decisionista, ma va ricordato che il potere legislativo è affidato al Congresso. Per cui il presidente non può introdurre disegni di legge, tranne nei casi in cui abbia il sostegno da parte dei deputati del suo partito. Il Presidente potrà bloccare disegni di legge in Parlamento ma per superare il suo potere di veto l’assemblea avrà bisogno di una maggioranza qualificata di due terzi. Un altro elemento di oggettivo check and balance è il ricorso a strumenti di consultazione popolare diretta: questi rappresentano un’evidente garanzia democratica contro velleità leaderistiche e abusi di potere del Presidente.

In Francia il sistema è praticamente semi-presidenziale e, anche se non c’è una netta indipendenza tra presidente e parlamento come negli Usa, vi è la necessità che il presidente ottenga la fiducia dal parlamento. In Gran Bretagna si osserva la funzione del Civil Service, politicamente neutrale, che supervisiona l’esecuzione delle decisioni del Ministro. Il suo compito è coadiuvare il Governo indipendentemente dal partito politico al potere. Per cui i membri del Civil Service conservano il loro posto, anche in caso di cambio di Governo. E molti dei membri prestano servizio all’interno delle Agenzie Esecutive, ovvero entità in capo ai Dipartimenti di Stato.

Se il referendum sulla riforma costituzionale elaborata da Renzi e Boschi dovesse passare, si aprirebbe la strada ad una pericolosa deriva, che non avrebbe pari in Europa. Tra l’altro nell’impianto della riforma non c’è traccia della modalità di elezione dei senatori, con un persistente problema di rappresentanza parlamentare. Non c’è traccia di quale ruolo definito dovrebbe avere il nuovo Senato, dal momento che dovrebbe mantenere anche una funzione di controllo su alcune leggi. Solo l’abolizione del Cnel e delle province, con queste ultime più frutto di azione sloganistica che di reale risparmio per le casse dello Stato. Per cui l’azione da irradiare sui territori per sensibilizzare a votare “no” al referendum credo possa essere un primo e strategico punto all’ordine del giorno non solo del centrodestra di domani ma anche nell’animo di chi, da riformatore, crede alla modernità che però non stravolga il concetto di Repubblica.

 

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