Il Pd ha tentato di togliere il crocifisso dall’Aula, ma gli è andata male
Crocifisso sì, crocifisso no: ancora si dibatte intorno a un argomento che dovrebbe essere dato per accreditato e basta. Un segno tangibile quanto imprescindibile – e che non andrebbe messo ciclicamente in discussione come purtroppo accade – della nostra identità culturale, storica, religiosa. E invece l’ala progressista al governo e saldamente in quota nelle amministrazioni locali, ogni tanto ci riprova: per fortuna, nel caso che andiamo a descrivere, con scarsi risultati…
Via il crocifisso dall’Aula: il Pd ritenta il colpo, ma a vuoto
Se non sono le aule scolastiche, quelle prese di mira sono le “stanze dei bottoni” delle amministrazioni cittadine: ma il bersaglio da colpire e affondare, quello che quasi sempre finisce nel mirino delle forze progressiste, torna ad essere, ancora una volta, il crocifisso, in particolare – in questa occasione – quello esposto in Sala Rossa a Torino. Certo, in Consiglio comunale del Piemonte per stavolta si è riusciti a salvare il crocifisso esposto in Aula: ma quanti colpi e contraccolpi si dovrà ancora subire e provare ad ammortizzare? Per il momento, comunque, sono 25 i consiglieri ad aver votato contro la delibera presentata da Silvio Viale (Pd, ma esponente Radicale), Vittorio Bertola (Movimento 5 Stelle) e Piera Levi Montalcini (gruppo misto di maggioranza) che chiedevano la rimozione del simbolo religioso; mentre ha espresso voto contrario a togliere la croce anche il sindaco Piero Fassino. Il centrodestra, naturalmente, è stato compatto nel votare contro la delibera, mentre la maggioranza – ancora una volta – si è ulteriormente divisa tra il “no” alla mozione e chi non ha proprio partecipato al voto, come nel caso dei sette consiglieri del Pd e dei due di Sinistra, Ecologia e Libertà. Tre esponenti del Pd, Giuseppe La Ganga, Vincenzo Laterza e Alessandro Altamura poi hanno lasciato l’aula al momento del voto, in segno di dissenso con le «modalità con cui si è svolto il dibattito». Ma quale modalità? Forse quella che punta alla salvaguardia dei simboli della nostra matrice religosa e cultura identitaria, rivendicata su più fronti, e che ha visto soccombere le ragioni sparpagliate e fragili di chi – per esempio l’associazione radicale Adelaide Aglietta – punta invece all’affermazione del disconoscimento di tutto ciò, assestandosi contro quelle che vengono banalmente ridotte a «posizioni clericali e conservatrici. Un’offesa alla laicità»?
La «miope» battaglia ideologica contro il crocifisso
Ma tant’è: per uno strano caso in questa circostanza maggioranza e opposizione si sono trovati concordi nel riconoscere al crocifisso, affisso in Consiglio comunale da più di 50 anni, un elemento di identità culturale imprescindibile, un legame con le radici culturali dell’Occidente e del nostro Paese. Tanto che persino buona parte del Pd, di fronte alla proposta di delibera presentata dal suo vicepresidente, il radicale Silvio Viale, si è ritrovato a votare “contro” (linea scelta dal capogruppo dei democratici, Michele Paolino e altri 7 consiglieri), oppure ha scelto proprio di non partecipare (7 consiglieri). Posizione ancora diversa, infine, quella assunta dalle consigliere Maria Lucia Centillo e Laura Onofri, invece, che pur dichiarandosi sostenitrici della laicità delle istituzioni, avrebbero preferito «una decisione assunta dalla Conferenza dei Capigruppo, senza clamore». E come anticipato poco fa, persino i consiglieri di Sel hanno deciso di non partecipare: a dimostrazione che la guerra in corso, ideologica e parziale, miope quanto distruttiva, sarà ancora lunga da combattere. Una guerra sacrosanta che va combattuta in difesa di un simbolo che, il Vaticano ha più e più volte ribadito ecumenicamente, «è stato sempre un segno di offerta di amore di Dio e di unione e accoglienza per tutta l’umanità». Una guerra sacrosanta che oggi si assesta sui risultati della battaglia, quella di Torino, decisamente vinta.