Napoli, i (presunti) posti di lavoro Apple costati all’Italia 562 milioni di euro
Seicento (presunti) posti di lavoro in cambio di 562.000.000 di euro (certi) che Apple ha evaso al Fisco italiano al quale, di quei soldi, non arriverà neanche un centesimo di euro. Si chiude così a palazzo Chigi, fra una pennetta al pomodoro, una “tazzulella” di caffè e quattro chiacchiere in piedi il contenzioso fiscale che da anni contrapponeva l’Italia al colosso hitech accusato di aver fatturato in Irlanda, dove vige un sistema fiscale molto più conveniente, anche le vendite avvenute nel nostro Paese. Appena un mese fa la prima parte dell’accordo: invece degli 880 milioni di euro di Ires evasi fra il 2008 e il 2013, la società di Cupertino aveva concordato con l’Italia di pagare solo 318 milioni di euro. Il resto, 562.000.000 di euro, se lo sarebbe tenuto in cassa anziché darlo all’Italia. Ieri l’ultima parte della trattativa: l’apertura di un Centro di sviluppo per le App a Napoli che dovrebbe dare lavoro a circa 600 persone. Una previsione, non una certezza. A metterci i soldi, non Tim Cook ed Apple, ma l’Italia che ha rinunciato a incassare dall’azienda californiana quello che le era dovuto, cioè, appunto, quei 562.000.000 di euro. In pratica è come se ognuno di quei 600 posti (presunti), fatti i dovuti conti, fosse costato agli italiani quasi un milione di euro l’uno, esattamente 936mila euro l’uno.
A fare gli onori di casa, Matteo Renzi che incassa con grande soddisfazione, fra gli stucchi e i damaschi di palazzo Chigi, lo schiaffone hitech da Apple mentre i peones del Pd si spellano le mani dalla gioia per la “vittoria” del caro Leader: «È assolutamente fondamentale che la grande partita di Napoli e del sud esca dai confini del pessimismo, vittimismo rassegnazione – si accalora Renzi poco prima dell’incontro con Tim Cook – ci sono grandissimi partner globali, come Cisco e Apple, pronti a investire. Il mezzogiorno è ricco di occasioni di crescita e di sviluppo».
Scortato dalle due virago, Marianna Madia e Stefania Giannini, rispettivamente ministri della Pubblica amministrazione e della scuola, il premier ha accolto Cook, il suo staff e l’ambasciatore americano John Phillips con un pranzo in piedi a base di pasta al pomodoro e ha poi regalato all’amministratore delegato di Apple un vaso di design italiano e una macchina per il caffè, la classica Moka.
Da lì è stato tutto un profluvio di dichiarazione entusiaste delle truppe cammellate del Pd. Con l’europarlamentare campano del Pd, Andrea Cozzolino che sgomita per dichiarare: «il Governo e il premier Matteo Renzi con il loro lavoro per il Mezzogiorno, hanno posto le condizioni per permettere al nostro Paese di cogliere tali opportunità. Su questa scia, costruiamo una strategia di rilancio delle nostre zone che possono candidarsi a divenire Silicon Valley d’Europa, terra ideale per lo sviluppo e la crescita di nuove idee imprenditoriali». Cozzolino, l’ex-potente assessore della giunta Bassolino, è più noto in Campania per essere il marito di Anna Normale, proprietaria, attraverso le società Sica srl e Sa.An dell’ecomostro di Alimuri, lo scheletro incompiuto in cemento armato di un albergo che, per decenni, ha deturpato la costa del mezzogiorno prima di essere abbattuto, ma almeno per ora a spese dei contribuenti. Non basta Apple e neanche i 600 (presunti) posti di lavoro a salvare Napoli e la Campania se la mentalità dei suoi politici è questa.