Mel Gibson, i 60 anni del divo, cuore impavido e regista imprevedibile
I sessant’anni di Mel Gibson – compiuti domenica 3 genaio – hannno riportato sotto i riflettori il divo hollywoodiano, camaleontico sul set, come nella vita, che per il suo compleanno – e dopo dieci anni di assenza dalle scene – ha scelto di regalarsi un nuovo film, Hacksaw Ridge, un dramma ambientato nella Seconda Guerra Mondiale, incentrato sulla vita di Desmond T. Doss, medico e primo obiettore di coscienza della storia.
I 60 anni di Mel Gibson
A dimostrazione che, una volta di più, l’eclettismo a 360 è decisamente la cifra del suo talento e la chiave della sua quotidianità. È per questo che in questi primi sei decenni della sua vita Mel Gibson è potuto passare dal ruolo di protagonista degli action movie alla Mad Max, e dei polziieschi della serie di Arma letale, all’Amleto di Zeffirelli al suo La Passione di Cristo, titoli che ne hanno sancito in modo e misura diversi – specie dopo i cinque Oscar conquistati per Braveheart, tra cui quelli per miglior film e miglior regia – la grandezza anche dietro la macchina da presa. Una parabola a dir poco ascendente la sua, almeno fino al 2006, anno che nella vita della star americana segna un difficile spartiacque, sia sul piano professionale, che su quello personale. Il 2006, infatti, per Gibson è l’anno della crisi: quello che registra l’indigesto flop della sua ultima regia, e quello che segna il discusso divorzio dalla moglie di una vita, costato la cifra record di 400 milioni di dollari e pagato anche con l’abuso di alcol che ha immancabilmente portato con sé tutti i prevedibili effetti collaterali, normalmente presenti nel carnet di un divo bello e dannato che rispetti: dall’arresto alla guida in stato d’ebbrezza, ai successivi eccessi d’ira contro giornalisti e paparazzi che vogliono rimestare in quel torbido.
Genio e sregolatezza
Del resto, che Gibson vantasse una personalità composita e dai risvolti imprevedibili, lo si doveva capire: eppure ha stupito tutti oltremisura quando, dopo 26 anni di matrimonio vissuti accanto a Robyn Moore e a crescere i 7 figli nati da quell’unione – che gli era valso il titolo di “sacrestano di Hollywood” – l’attore scelse di separarsi a caro prezzo. E non che la successiva relazione con la nuova compagna, Oksana Grigorieva, gli abbia concesso sconti: anche quel legame, infatti, sarebbe finito in tribunale, con tanto di verbali su molestie e minacce di morte, poi tradotte per il codice in 36 mesi di libertà vigilata e costate all’attore – oltre a un esborso a diversi zeri – anche la rinuncia all’affidamento dell’ottava figlia. Mancavano all’appello le dichiarazioni antisemite? E Mel Gibson le ha servite in pasto alla stampa su un piatto d’argento. Eppure alle ombre del personaggio privato ha supplito fin qui sempre la genialità dell’uomo di cinema, che ha firmato capolavori diversi come Braveheart o La Passione di Cristo, accomunati dalla grandezza della realizzazione dove anche l’ultimo detrattore ha dovuto convenire che lo stile del regista – anche laddove 2eccessivo” appunto – non ha ceduto alla facile tentazione del facile sensazionalismo. Persino l’efferatezza del trattamento – sia nel racconto del martirio di Gesù che in quello della guerra fratricida dei Maya di Apocalypto – sono funzionali all’efficacia della messa in scena, e dunque maneggiati con cura, e non strumentalizzati ad hoc come in qualunque film commerciale o volgarmente pulp sarebbe potuto accadere. Del resto non è un caso se, dopo aver ampiamente dimostrato di essere un attore più che versatile, Mel Gibson è riuscito a conquistare il gusto della critica e il cuore degli spettatori, sbancando i botteghini con copioni difficili e storie epiche che avrebbero scoraggiato qualunque altro cineasta o produttore, ma non lui: ed è anche questo che lo rende più unico che raro.