Bravo Zalone ma sulle Province esagera: i “fannulloni” sono ovunque
Luca Medici, in arte Checco Zalone, number one. Della comicità e non solo. Il suo ultimo film Quo Vado? sta battendo ogni record di incasso. Un toccasana per le scassatissime casse del cinema italiano. Un effetto taumaturgico, per dirla con Celentano, per gli italiani stressati. E’ l’apoteosi di un genio della risata che i radical chic e la intellighentia nostrana, zeppa di criticoni impastati di sociologismo sessantottino, avevano relegato tra il ciarpame della subcultura provinciale, lontana anni luce dai sofisticati labirinti mentali in cui taluni Maitre à penser immergono la penna per sostenere elaborazioni cinematografiche noiosissime, cervellotiche, dal costo ingente per lo Stato che paga (cioè per noi tutti), ma in pratica senza il seguito degli spettatori (sempre noi) che di quelle menate non frega nulla e disertano le sale. Ecco , invece, spuntare una comicità pura, genuina, immediata, coinvolgente, priva di isterismi, di volgarità preconfezionate, di idiozie invereconde. Il Quo Vado? di Zalone ha preso in contropiede una marea di strizzacervelli abbarbicati nella soffitta della loro sconfinata prosopopea intellettuale. Costringendoli a far ammenda, a decantare le qualità di un comico e la intelligente ironia degli autori, dopo averne sbeffeggiato per lungo tempo le doti. Il bello è che ora, colpiti dalle folle che si accalcano ai botteghini, sono tutti lì ad inebriarsi di interpretazioni sul senso di un successo, sullo straordinario, invernale risveglio di una italietta apatica e borghese, assopita e frastornata, una “italietta” che corre al Cinema per rispecchiarsi, sorridere, applaudire festosa, disincantata e libera al Checco Zalone, vittima predestinata della fine della Provincia: l’ente intermedio, l’amministrazione pubblica sovracomunale, quel livello istituzionale di area vasta sacrificato dalla politica nostrana sull’altare di una razionalizzazione del sistema territoriale che fa acqua da tutte le parti. Nella trama del film che si dipana, agile e gioiosa, protagonisti sono proprio la Provincia e i suoi dipendenti. Storia mortificante di un declino imposto dall’alto, da chi ha volutamente lasciato credere che tutti i mali della pubblica amministrazione fossero da cercare colà e non piuttosto nella pachidermica, costosissima, malandata e malfunzionante macchina regionale. Dimentichi, costoro, che la Provincia è sale e carne della nostra identità, della nostra storia, della nostra cultura, delle nostre tradizioni più care. Checco Zalone, impersonando il dipendente da togliere di mezzo nel nome della razionalizzazione del sistema, l’impiegato che non vuole andar via, che sta lì aggrappato al posto, fiero di quel luogo e di quella condizione, strappa applausi. Drammatizza e fa ridere. Rappresenta con sottile ironia una pubblica amministrazione fatta di dipendenti scansafatiche e fannulloni. Tema buono per la comicità, purché non si generalizzi. Di gente che lavora dietro la scrivania, per fortuna, ce n’è ancora tanta. Zalone ha un grande merito: tratta argomenti politicamente importanti rifuggendo da ideologismi, da futili inscatolamenti in vetuste categorie di destra e di sinistra. E’ quel che serve, per far ridere. Ma anche per meditare su uno spaccato della nostra società e sugli errori che si sono commessi. Checco Zalone, autentico number one.