Mafia, il padre del poliziotto ucciso a Capaci denuncia: spariti gli appunti

21 Dic 2015 15:18 - di Redazione

L’accusa di Vincenzo Agostino, padre del poliziotto Antonino Agostino ucciso il 5 agosto ’89 insieme alla moglie Ida Castellucci, che era in gravidanza è pesante. «Dopo l’omicidio di mio figlio mi venne consegnato il suo portafogli, dal quale saltò fuori un biglietto in cui c’era scritto che se gli fosse successo qualcosa bisognava andare a guardare nel suo armadio. Alcuni funzionari di polizia presero mia figlia minore e andarono in casa di Nino, nell’armadio trovarono degli appunti e li presero, ma non mi è mai stato detto cosa ci fosse scritto o cosa riguardassero». Vincenzo Agostino deponendo nel nuovo processo per la strage di Capaci del 23 maggio ’92, in corso davanti alla Corte d’Assise di Caltanissetta ha ricordato «che il giorno dopo la morte di mio figlio arrivarono anche il capo della polizia Parisi e l’allora ministro dell’ Interno, io chiedevo spiegazioni su quello che avevano trovato nell’armadio di Nino, ma loro si limitavano a darmi pacche sulle spalle e a dirmi di non preoccuparmi. Se non ricordo male, tra i funzionari che si recarono a prendere le carte di mio figlio c’erano un certo Guiglia e un certo Di Bella. Sono passati 27 anni e non so nulla, ricordo che prima di chiudere la bara di mio figlio giurai che non mi sarei più tagliato la barba se non avessi ottenuto verità e giustizia».

Mafia, l’accusa di Vincenzo Agostino

Quando gli è stato chiesto dalle parti di riferire in merito a colloqui avuti con alcuni funzionari di polizia quali l’ex capo della Mobile Arnaldo La Barbera e l’ex dirigente del commissariato di San Lorenzo, Antinoro, Vincenzo Agostino ha risposto: «Arnaldo La Barbera davanti a mia moglie, sbatté il pugno sul tavolo e, riferendosi all’omicidio di mio figlio, disse “lo volete capire che questo è un delitto di alta mafia? Qui lo dico e qui lo nego”. Antinoro invece mi disse che non c’entrava nulla con la morte di mio figlio, ma non so perché sentì il bisogno di dirmi tutto ciò». «Subito dopo la partenza di mio figlio per il viaggio di nozze – ha aggiunto il teste – vennero a cercarlo due uomini in moto. Uno entrò in casa senza bussare e disse che cercava mio figlio, il poliziotto: gli risposi che era andato via. Lui girò i tacchi e se ne andò, io lo rincorsi e chiesi cosa volessero. L’altro che era in moto si girò e mi disse di dire a mio figlio che erano suoi colleghi. Questo che mi rispose aveva una faccia butterata, come se avesse avuto il vaiolo, ecco perché dico che aveva una faccia da mostro». Quello di “faccia da mostro” è uno dei misteri che ricorre spesso nelle stragi di mafia, per alcuni si tratterebbe del poliziotto Giovanni Aiello.

 

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