Vatileaks, la Chaouqui cambia idea: andrò a difendermi, mai passato carte

23 Nov 2015 14:13 - di Paolo Lami

«Ho deciso che martedì vado a difendermi al processo, a dimostrare che mai un solo foglio è passato dalle mie mani a quelle di un giornalista, uno qualsiasi, non solo Emiliano o Gianluigi».  E’ quanto scrive sul suo profilo Facebook Francesca Immacolata Chaouqui, la pubblic relation calabrese ed componente della Commissione referente sulle finanze d’Oltretevere (Cosea) rinviata a giudizio in Vaticano per la sottrazione e la diffusione di documenti riservati della Santa Sede insieme all’ex segretario della Cosea, monsignor Lucio Vallejo Balda, all’ex collaboratore di quest’ultimo Nicola Maio e ai giornalisti Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi, autori dei libri “Avarizia” e “Via Crucis“. «Forse non servirà a niente, ma mi batterò come un leone affinché la verità emerga – aggiunge l’ex-consulente vaticana – Possono condannarmi ma se lo faranno sappiate che mai potranno produrre una sola prova che un solo foglio sia stato portato o consegnato da me a chiunque non fosse un mio referente nella commissione, il Santo Padre stesso o il suo Staff».
Anche Nuzzi e Fittipaldi, il primo attraverso un tweet e il secondo con una lettera su Repubblica, hanno annunciato che saranno in aula nel processo che si apre domani nel Tribunale vaticano.
«Mai avrei immaginato che sarei finito sotto inchiesta, mandato alla sbarra e processato davanti ai giudici pontifici. Processato perché accusato di un reato che prevede una pena che va dai 4 agli 8 anni di carcere – scrive il giornalista Emiliano Fittipaldi in una lettera a Repubblica. Fittipaldi sostiene di aver sperato che «il libro, invece di essere messo all’indice come ai tempi del Sant’Uffizio, provocasse anche una reazione costruttiva da parte del mondo ecclesiastico». Invece, ammette il giornalista, «mi ha portato a dovermi difendere da accuse gravi, e – secondo le norme della giurisprudenza italiana – illiberali. Perché io non sono incolpato per aver diffamato qualcuno, né per aver scritto falsità» ma «perché un nuovo articolo del codice penale vaticano, approvato da papa Francesco nel luglio del 2013, prevede pene severe per chiunque “riveli notizie o documenti riservati”. La giurisprudenza vaticana considera un delitto l’essenza stessa del nostro mestiere, ossia il dovere di pubblicare i fatti che il potere, qualunque forma esso prenda, vuole tenere occultati alla pubblica opinione».
«Domani inizia il dibattimento e sarò in aula. Ma questo che inizia – avverte Fittipaldi – non è un processo contro di me. È un processo alla libera stampa».
«Quando ho visto il dispositivo del rinvio a giudizio del processo in Vaticano – scrive, invece, su Facebook Francesca Chaouqui – ho pensato che era meglio lasciar perdere, rinunciare a qualsiasi difesa, tanto partendo da quei presupposti tutto sarebbe stato inutile. Ho pensato che potevano fare quello che volevano. Che la giustizia non è mai di questo mondo».
«Ero rimasta così male che neanche volevo più andarci al processo – rivela l’ex-rampante pr calabrese – tanto più che il Vaticano non ha ammesso l’avvocato Bongiorno come mio difensore, nonostante precedentemente lei avesse sempre ottenuto il permesso di patrocinare altre cause davanti allo stesso tribunale».
Poi spiega di aver deciso diversamente durante una sua visita fatta ieri alla sua famiglia d’origine in Calabria, annunciando quindi l’intenzione di battersi per dimostrare la propria innocenza. «Non mi sottometterei – sottolinea ancora – ad un processo basato su regole del 1923, in fondo sono una cittadina italiana a cui niente può essere imposto da Oltretevere finché resto sul suolo italiano».

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