La doppia lingua araba: a parole con la Francia, ma poi finanziano ISIS
A parole sono tutti d’accordo nel voler combattere lo Stato Islamico e più in generale il jihadismo nella sua forma terroristica come in quella militare, nei fatti però nessuno sembra davvero disposto a combattere questa guerra o pretende di combatterne anche altre. Non è però credibile che Washington abbia potuto rovesciare in sole sei settimane il regime talebano alla fine del 2001 e nello stesso tempo abbia cacciato Saddam Hussein da Baghdad mentre oggi Usa e potenze europee ripetano che ci vorranno anni per rovesciare il Califfato. Le tante ambiguità della “strana” guerra contro l’Isis sono legate soprattutto al fatto che ognuno dei principali protagonisti persegue interessi nazionali molto diversi dalla lotta ad Abu Bakr al-Baghdadi.
Turchia, Qatar, Kuwait e Arabia Saudita hanno sostenuto ISIS
Gli USA possono tergiversare contro l’Isis traendo persino vantaggio dalla destabilizzazione del Medio Oriente. Per sostenere il regime laico di Bashar Assad i russi bersagliano con i cacciabombardieri tutte le milizie jihadiste. Se gli europei non sembrano avere la capacità politica e militare per elaborare una propria strategia indipendente da Washington, lo stesso non si può certo dire per turchi e arabi. Dopo aver acceso la miccia della rivolta contro Bashar Assad nel 2012, Ankara è intervenuta nel conflitto solo nel luglio scorso, ufficialmente per colpire l’Isis ma in realtà ha bersagliato con jet e artiglieria soprattutto i curdi che pure sono le uniche forze combattenti (insieme all’esercito di Damasco) che finora hanno tenuto testa alle milizie jihadiste respingendole a Kobane e ad Hasaka. Per ottenere un ruolo chiave nel determinare il futuro della Siria, i turchi non hanno esitato a sostenere i gruppi jihadistì più efferati come lo Stato Islamico e i qaedisti del Fronte al-Nusra facendo transitare dalla frontiera armi e munizioni provenienti da Riad e Doha e curandone i feriti negli ospedali turchi. Ankara inoltre non esita a utilizzare anche l’arma degli immigrati illegali per incassare vantaggi come ha dimostrato la richiesta di Erdogan ad Angela Merkel di 3 miliardi di euro per accogliere in territorio turco i profughi siriani, si legge su “Il Mattino”.
Qatar, Kuwait e Arabia Saudiata apertamente pro-ISIS
La rotta libica, che interessa direttamente l’Italia, vede i migranti salpare dalla Tripolitania occidentale, regione controllata dal governo islamista di Tripoli sostenuto (guarda caso) solo da Qatar e Turchia e che minaccia di accentuare i flussi se non otterrà una legittimazione dalla Ue. Le ambiguità maggiori riguardano però le monarchie del Golfo che solo nominalmente prendono parte alle operazioni della Coalizione sulla Siria e la cui presenza non è gradita dall’Iraq che infatti vuole solo forze aeree occidentali nel suo spazio aereo. Il governo scita di Baghdad da anni accusa i Paesi del Gulf Cooperation Council (una sorta di Nato araba del Golfo Persico guidata dai sauditi) di sostenere con armi e denaro i terroristi dello Stato Islamico allo scopo di alimentare la rivolta sunnita ostacolando così l’egemonia iraniana in Iraq. Un’accusa più che giustificata se si considerano le raccolte di fondi tenutesi in Qatar, Kuwait e negli ambienti wahabiti tese a sostenere il Califfato nel nome della lotta a “persiani sciti e infedeli”.