Troppi profughi e poche donazioni: l’Onu piange miseria e batte cassa

7 Set 2015 13:42 - di Paolo Lami

Le casse piangono, desolatamente vuote. La crisi internazionale dell’immigrazione ha messo finanziariamente in ginocchio le agenzie umanitarie dell’Onu. E l’Onu ora batte cassa per gestire il massiccio flusso degli immigrati che ha lasciato praticamente all’asciutto le varie agenzie umanitarie dell’Onu, anche a causa di un taglio dei finanziamenti internazionali che negli ultimi tempi è stato, lamenta l’Alto Commissario per i rifugiati delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, pari al 10 per cento.
La situazione al limite del collasso è stata rivelata al The Guardian da alcune fonti della stessa Organizzazione delle Nazioni Unite, che hanno confermato il rischio di “bancarotta” e come già ora diversi servizi per aiutare i profughi in mezzo mondo siano stati tagliati. Insomma l’Onu non è più in grado di soddisfare i bisogni di milioni di persone, mentre l’emergenza continua a crescer a ritmi convulsi, in Medio Oriente, Africa ed Europa.
L’allarme lanciato da alcune gole profonde dell’organizzazione è stato poi confermato anche dall’ex-primo ministro portoghese Guterres, oggi sulla delicatissima poltrona di Alto Commissario per i rifugiati delle Nazioni unite al quotidiano progressista britannico: «Siamo di fronte a un incredibile aumento dei bisogni, dagli alloggi all’acqua e all’igiene, passando per il cibo, l’assistenza medica e l’istruzione», rivela accorato Guterres. Che poi spiega perché si sarebbe creato questo problema finanziario: «I nostri bilanci non possono essere paragonati all’aumento del bisogno: i nostri introiti nel 2015 saranno circa il 10 per cento in meno rispetto al 2014. La comunità degli aiuti umanitari globali non è in crisi, anzi non è mai sta così efficiente. Ma dal punto di vista finanziario noi siamo assolutamente a terra».
Secondo The Guardian, al momento i fondi internazionali per gli aiuti sono pari a 19,52 miliardi di dollari, ma solo 7,15 miliardi di dollari sono stati raccolti grazie ai donatori.
Dall’altra parte un numero su tutti rappresenta molto bene la crescita di un impegno sempre più grande da parte delle organizzazioni Onu: il numero di profughi a causa di un conflitto nel 2010 era di 11mila al giorno, l’anno scorso sono stati 42mila. L’Onu e le sue agenzie collegate hanno già iniziato a tagliare gran parte dei propri aiuti. Sono state tagliate le razioni alimentari per i rifugiati siriani in Libano e Giordania dove la situazione si va aggravando di momento in momento così come per i rifugiati somali e sudanesi in Kenya mentre i rifugiati del Darfur che vivono nei campi in Ciad sono stati avvertiti che le loro razioni potranno finire entro dicembre. Anche in Iraq la situazione sta collassando: i servizi sanitari dell’Onu sono stati chiusi su gran parte del territorio iracheno lasciando milioni di sfollati senza cure sanitarie. Nel solo mese di agosto l’Oms ha chiuso 184 centri sanitari in 10 dei 18 distretti iracheni.
Quest’anno il Pam, il Programma Alimentare Mondiale, altra agenzia dell’Onu ha tagliato le razioni a 1,6 milioni di rifugiati siriani ed ha avvertito che, in Libano, ha a disposizione solo 13 dollari al mese da spendere in cibo per ogni rifugiato. Una situazione che potrebbe indurre gli immigrati a cedere alle richieste dei terroristi di legarsi a loro.
Insomma in crisi è, prima di tutto, il modello di finanziamento delle Agenzia Onu. Un finanziamento fino ad ora basato sulle donazioni volontarie. L’Onu chiede che il modello sia ribaltato e che gli Stati paghino cifre fisse e concordate, non suscettibili di variazioni sulla base di questioni emotive, com’è per le donazioni volontarie.
Ma intanto il Regno Unito ha fatto la sua scelta: il premier conservatore David Cameron ha deciso di dirottare una parte dei fondi destinati alle emergenze umanitarie internazionali verso il supporto dei profughi che arriveranno in Gran Bretagna, finanziando direttamente le amministrazioni comunali che si faranno carico dei migranti e non più le organizzazioni internazionali. L’obiettivo è quello di non indispettire ulteriormente tutti coloro che nel Regno Unito protestano per il taglio alla spesa pubblica delle amministrazioni locali e allo stesso tempo coloro che sono contrari all’utilizzo di risorse statali all’estero per aiutare gli immigrati.

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