Siria: prove di disgelo tra Putin e Obama. E la Francia già bombarda l’ISIS

27 Set 2015 8:38 - di Redazione

L’incontro a New York fra Javad Zarif e John Kerry segna l’inizio del tentativo russo-iraniano di trovare una composizione diplomatica alla guerra siriana facendo leva sulla realpolitik maturata a seguito dell’intesa di Losanna sul nucleare di Teheran. Zarif è portatore della proposta, confezionata dal Cremlino, di una transizione a Damasco che lasci Bashar Assad alla presidenza per un «certo periodo di tempo». L’intento è fare leva sugli Usa per arrivare ad un accordo con i Paesi sunniti che sostengono i ribelli islamici non Isis ovvero Arabia Saudita, Turchia e Qatar.

A disegnare l’offensiva diplomatica russo-iraniana è quanto sta avvenendo a New York.

Ieri Zarif ha visto Kerry che gli ha confermato la volontà di «soluzioni pacifiche in Siria e Yemen». Oggi sarà il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ad incontrare il Segretario di Stato Usa per confezionare una piattaforma destinata ad essere esaminata, domani, nel summit fra Obama e Putin. L’Iran fa da apripista a Putin. E Washington manda segnali di disponibilità con Wendy Sherman, vice di Kerry, che dice: «Comprendiamo che può esserci una soluzione politica se Assad resta per un certo periodo di tempo, con un qualche incarico, mentre si svolge la transizione».

Resta da vedere se Washington riuscirà a convincere Riad, Ankara e Doha.

Un’ipotesi, che circola fra i diplomatici arabi è un baratto fra due guerre in corso: Teheran potrebbe abbandonare i ribelli houthi in Yemen in cambio dell’avallo sunnita ad una transizione che comprenda «Assad». A suggerire che qualcosa si sta muovendo in Siria c’è l’intesa sul cessate il fuoco in tré località fra Hezbollah, sostenuto dall’Iran, e i ribelli islamici appoggiati da Turchia, Qatar e sauditi. L’accordo negoziato dall’Onu prevede, nell’arco di sei mesi, il ritiro dei ribelli islamici accerchiati da Hezbollah a Zabadani e l’evacuazione dei civili sciiti da Foua e Kefraya. Oltre allo scambio di circa 500 prigionieri.

A rendere credibile l’iniziativa russo-iraniana è il rafforzamento della presenza militare del Cremlino in Siria.

Gli aerei da combattimento a Latakia sono già più di 30, i russi costruiscono altre due basi nella costa alawita e danno inizio nel Mediterraneo Orientale a manovre navali – con oltre 40 unità della flotta del Mar Nero – che dureranno un mese. La visibilità dello schieramento serve a Putin per recapitare a Washington un messaggio affidato da «fonti russe» all’agenzia Bloomberg: «Senza un accordo di coordinamento con la coalizione anti-Isis, Mosca inizierà propri raid». È il secondo aspetto dell’iniziativa russa sulla Siria: il Cremlino è pronto ad attaccare i ribelli anti-Assad. Ovvero: Riad, Ankara e Doha devono sapere che rifiutando l’offerta di Zarif-Lavrov vedranno i propri alleati bersagliati dai Sukhoi. Ma non è tutto, perché a Baghdad i russi creano una «war room» congiunta con Iran, Iraq e Siria destinata a diventare la cabina di regia di una coalizione anti-Isis guidata dal Cremlino e dotata di forze di terra credibili. A differenza di quella, solo aerea, creata dalla Casa Bianca a cui partecipano molte nazioni europee.

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