La sinistra impari la storia per capire chi erano gli emigranti italiani

8 Ago 2015 17:56 - di Lando Chiarini

Sono passati esattamente cinquantanove anni da quel mattino dell’otto agosto del ’56, quando nella miniera di carbone Bois du Cazier di Marcinelle, in Belgio, un incendio di olio combustibile ad alta pressione causato da una scintilla elettrica provocò la morte di 275 persone, 262 delle quali in gran parte italiani emigrati in Belgio in cerca di lavoro. Dopo Monongah e Dawson City, negli Usa, la tragedia di Marcinelle è la terza in quanto a numero di vittime tra nostri connazionali all’estero.

A Marcinelle, in Belgio, morirono 262 minatori italiani

Certo, ha ragione chi oggi commemora quei morti anche per ricordare il nostro passato di terra esportatrice di braccia, di mano d’opera e quindi di emigrazione a chi oggi protesta contro gli sbarchi quotidiani, i flussi incontrollati di migranti, profughi e richiedenti asilo. A nessuno, sia chiaro, è consentito di chiudere gli occhi o di voltarsi dall’altra parte di fronte a guerre, carestie e persecuzioni ma è altrettanto giusto sottolineare che i nostri partivano sulla base di accordi bilaterali e con quote migratorie prestabilite. Che gli italiani fossero non solo emigrati ma anche graditi ospiti in Belgio lo dimostra il Protocollo firmato con quella nazione il 20 giugno del ’46 (la nostra Repubblica non aveva compiuto neppure un mese) che prevedeva l’invio di 50.000 lavoratori in cambio di carbone. Nacquero così ampi flussi migratori verso Bruxelles, uno dei quali, forse il più importante, fu quello degli italiani verso le miniere belghe.

Gli immigrati pretendono menu islamico e albergo con wi-fi

Onestà intellettuale e senso di realtà imporrebbero dunque alla compagnia di giro dei buonisti nostrani come la Boldrini, l’irriducibile vignettista antisalviniano Vauro Senesi o l’ex-ministro Kyenge di considerare bene queste differenza prima di tracciare similitudini troppo ardite tra i nostri antichi “bastimenti” e gli odierni gommoni. Certo, entrambi trasporta(va)no il loro carico di dolore misto a speranza. Ma i nostri emigravano laddove del loro apporto c’era bisogno e con la certezza di trovare nel Paese ospitante un tetto – spesso anguste casette di legno – e un lavoro, quasi sempre umile e soprattutto pericoloso, come dimostra appunto Marcinelle. Che differenza con chi da noi arriva all’improvviso, pretende accoglienza immediata e protesta pure se  il menu non è a misura di Islam o se nell’albergo a tre stelle manca il wi-fi.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *