Tempi sempre più duri per la sigaretta, simbolo di una civiltà al maschile

18 Lug 2015 16:19 - di Lando Chiarini

Non bastavano le limitazioni, i divieti e il terrorismo comunicativo che in un paio di decenni hanno più che dimezzato il numero dei fumatori. Per loro s’avvicinano tempi ancora più duri ora che i divieti s’allargano e i recinti in cui aspirare nicotina e cattivi pensieri si restringono. Dopo bus, treni, aerei e metro ora è off-limits anche l’auto. D’accordo, le “bionde” fanno male ma non più (anzi) di hascisc, marijuana e droghe varie. Questo bombardamento sui rischi della sigaretta proprio mentre in Parlamento imperversano i legalizzatori di stupefacenti stupefacentemente definiti “leggeri”, è decisamente ipocrita. Un po’ di coerenza non guasterebbe.

Bastava un mozzicone all’angolo della bocca per credersi Humphrey Bogart

Ancora un po’ di proibizionismo così e ci toccherà vergognarci di fumare anche di nascosto mentre avranno campo libero sniffatori cocainomani e cultori del “buco” da eroina. È il “politically correct, bellezza“, avrebbe chiosato il mitico Humphrey Bogart con un mozzicone semincenerito all’angolo della bocca. Sarà pure, ma sembra una follia. Non so a voi, ma a me provoca un assalto di invidia vedere i protagonisti dei filmoni in “bianco e nero” accendere una sigaretta dopo l’altra in un ristorante, in un bar o e persino nell’anticamera della sala parto. Il cinema, già, l’humus più ricettivo al vizio da tabacco. Là dentro, al buio, il ragazzino precoce fumava al riparo dagli occhi paterni e la vigilanza occhiuta delle spie in servizio permanente effettivo doveva accontentarsi di assistere al solo passaggio di mozziconi incandescenti da una mano all’altra. E poi – vuoi mettere? – la suggestione di quel fumo reso azzurrino dalla luce del proiettore che il genio narrativo di un Tornatore ha quasi elevato a elemento distintivo della nostra adolescenza.

La sigaretta vittima della cultura politically correct

Altri tempi. Tempi in cui il politically correct non era neanche alle viste e la sigaretta quasi fungeva da prova di virilità. Per un maschio era un destino inevitabile, come la cartolina militare o l’iniziazione sessuale con la bagascia del paese. C’è poco da sfottere: per un ragazzo era la sigaretta a segnare il passaggio dall’età dell’innocenza al mondo dei grandi. Un po’ come le mestruazioni per le donne, entrambe pietre miliari dello sviluppo fisico e insieme confine tra un’età in cui tutto era concesso ed un’altra che introduceva ai misteri del proibito. Fumare al cospetto del padre innescava il conto alla rovescia, al cui scoccare il figlio doveva mettersi in proprio e togliere il disturbo. Di solito accadeva dopo aver fatto il soldato. Un altro mondo. Sono tutte cose che oggi non esistono più: la naja obbligatoria, la bagascia del villaggio, i padri severi. Al loro posto troviamo famiglie iperprotettive, bamboccioni ultratrentenni e cinema multisala. No, rassegniamoci, davvero non è più tempo per sigarette.

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