Scuola, Renzi ha paura di non farcela al Senato. E allora apre alle modifiche
La buona scuola di Renzi potrebbe non passare l’esame finale. È lo stesso premier a temerlo e a prendere in considerazione l’idea di rimettere mano (magari solo un piccolo restyling per accontentare i riottosi della maggioranza) alla riforma del pianeta istruzione passata alla Camera in un crescendo di contestazioni e nei prossimi giorni al vaglio dell’Aula del Senato. «Sulla scuola siamo pronti a ragionare», dice a sorpresa Renzi intervistato a tutto campo da Ezio Mauro, «abbiamo bisogno di ascoltare, l’impressione che non ci confrontiamo è colpa di un racconto sbagliato da parte del governo. Stiamo discutendo…». Il testo, finora blindato, è all’esame della commissione Cultura di Palazzo Madama.
Scuola, dietrofront
I numeri incerti al Senato, soltanto 9 parlamentari di “vantaggio” dopo l’uscita dalla maggioranza dei due senatori dei Popolari di Mauro, fanno ballare il premier che dovrà rivedere il suo motto “prendere o lasciare” perché non può permettersi di vedersi sfumare il via libera alla tanto declamata riforma della scuola sulla quale ha messo la faccia. «Sulla scuola ci metteremo una settimana in più non si può fare una riforma senza il massimo del coinvolgimento ma non cederemo a chi dall’alto delle proprie rendite di posizione pensa sia intoccabile. La riforma la portiamo a casa».
La Boschi: non c’è chiusura
A tracciare la rotta, eterodiretta dal premier rottamatore, ancora una volta è Maria Elena Boschi, icona del renzismo riformatore. «Sulla riforma della scuola non abbiamo avuto un atteggiamento prendere o lasciare – dice la ministra dal convegno dei giovani di Confindustria – abbiamo cambiato alcune cose alla Camera, altre probabilmente le cambieremo al Senato». La nuova parola d’ordine è “nessuna chiusura”, nessun diktat, nella speranza di accontentare i senatori riottosi magari con qualche piccola modifica che rischia di peggiore ancora di più l’impianto della riforma del preside sceriffo. Come per l’Italicum il Senato sarà il vero banco di prova della tenuta del presidente del Consiglio dopo i primi cenni di crisi, di immagine e di consenso, emersi con il voto.
I numeri in commissione
I problemi di numeri cominciano dalla commissione Cultura del Senato dove i rapporti tra maggioranza e minoranza sono di 13 a 12. Ma nei 13 della maggioranza ci sono anche Corradino Mineo e Walter Tocci, della minoranza del Pd aperta alle richieste del mondo della scuola e dei sindacati, che, se decidessero di non votare con il resto del partito, darebbero molti grattacapi a Renzi. Non è escluso che il premier stia pensando a una soluzione “democratica” già sperimentata, quella di sostituire in commissione i senatori dissidenti (non “affidabili”) con altri di sicura fede genziana.