Blocco degli stipendi pubblici, la Consulta fa tremare Palazzo Chigi
Approda martedì in Corte Costituzionale il blocco dei contratti pubblici. Una decisione che arriva a poche settimane dalla sentenza sullo stop, bocciato, alla rivalutazione delle pensioni e che anche in questo caso potrebbe avere conseguenze sul bilancio pubblico.
I pronostici sulla sentenza
Tra arretrati, riallineamento e inserimento della spesa nel Def e nel bilancio pluriennale, l’Avvocatura dello Stato, che per conto della Presidenza del Consiglio difenderà la legge sub judice, stima in 35 miliardi il costo di un’eventuale pronuncia di illegittimità, come risulta dalla memoria difensiva. Cosa farà la Corte? L’ipotesi più accreditata tra i giuristi è quella di una pronuncia di inammissibilità della questione proposta, che faccia leva sul fatto che la norma è stata emanata in una congiuntura di crisi ed è transitoria. Una pronuncia, però accompagnata da un monito al legislatore a rimuovere il blocco e a riaprire la contrattazione, limitando in futuro interventi di questo tipo che pesano sul reddito.
I ricorsi arrivanti in Consulta
Nel dettaglio, la Corte dovrà esaminare la tenuta costituzionale delle norme che hanno congelato i contratti dei pubblici dipendenti dal 2011 al 2013 attraverso il decreto legge 78/2010, il cosiddetto “anticrisi”, e la successiva proroga del blocco per il 2014. Due le ordinanza all’attenzione della Consulta: la prima proviene dal Tribunale di Roma e ha alla base un ricorso promosso in sede civile contro Presidenza del Consiglio e Aran da una serie di sigle del pubblico impiego: Flp, Fialp, Gilda-Unams, Confedir, Cse. La seconda, del Tribunale di Ravenna, parte dal ricorso di 60 dipendenti degli uffici giudiziari di Ravenna, che insieme a Confsal-Unsa, il sindacato autonomo più rappresentativo nel comparto ministeri, hanno fatto ricorso contro il ministero della Giustizia per vedere adeguata la retribuzione.
«Stipendi fermi da 5 anni»
Violazione del diritto a una retribuzione proporzionale e sufficiente, del principio di uguaglianza per l’applicazione del blocco ai soli dipendenti pubblici, e del diritto a uno stipendio corrispondente al quantità e qualità del lavoro svolto, i dubbi sollevati. Dubbi che gli avvocati delle parti esamineranno in udienza, dopo che il giudice costituzionale relatore, Silvana Sciarra, che già aveva steso la sentenza sulle pensioni, avrà presentato il caso. «I dati Istat 2010-2015, che abbiamo allegato agli atti – riassume uno dei legali, l’avvocato Stefano Viti – dimostrano che gli stipendi pubblici sono fermi da 5 anni. Noi punteremo su due aspetti: la difesa del diritto violato alla contrattazione collettiva, che è un diritto costituzionale al pari dell’equilibrio di bilancio. E il fatto che si faccia gravare l’onere dovuto alla crisi del debito sovrano su una sola categoria, con pregiudizio di un principio democratico».
Per i magistrati il blocco fu bocciato
Non è la prima volta che la Corte si pronuncia sul blocco degli stipendi. Ci sono due precedenti importanti del 2013, entrambi sullo stesso decreto che sarà esaminato il 23. Il primo riguarda il blocco degli stipendi dei magistrati, che fu bocciato in virtù della specificità della magistratura, che non deve essere esposta al rischio di «interferenze». Il secondo riguarda invece il blocco per il personale pubblico non contrattualizzato, che invece la Corte ha giudicato legittimo perché emanato per un periodo di tempo limitato per rispondere a esigenze di bilancio. Più lontano nel tempo è il blocco imposto nel 1992 dal governo retto da Giuliano Amato, oggi giudice costituzionale, che durò però un solo anno in una fase altrettanto critica, con le aste dei buoni del Tesoro che erano andate deserte, e che la Consulta giudicò legittimo.