Tienanmen, ancora censura: sparisce dal web l’ultima richiesta di verità

29 Mag 2015 13:51 - di Ginevra Sorrentino

Ancora censura di regime sui tragici fatti di piazza Tienanmen: la mannaia del silenzio torna a incombere su stampa e web. Nulla sfugge allo sguardo vigile di Pechino che ha ordinato a «tutti i siti web» di cancellare un editoriale pubblicato dal quotidiano Global Times diretto contro gli autori di una lettera diffusa su Internet con la quale si chiede al governo di fare chiarezza sui drammatici avvenimenti di 26 anni fa. A riferirlo China Digital Times, un sito web gestito da esuli cinesi. Tra i vari capi d’imputazione che ne hanno decretato l’abbattimento della scure censoria, il fatto che la lettera “incriminata”, firmata da una decina di studenti del celeste Impero che vivono da tempo all’estero, fornisce anche un’accurata ricostruzione dell’intervento dell’Esercito di Liberazione Popolare contro gli studenti.

Piazza Tienanmen, vietato il ricordo

«Questo pezzo di storia – si legge nella lettera – è stato così accuratamente censurato e mistificato, che la maggior parte delle persone del nostro gruppo di età (tra i 20 e i 30 anni) lo conoscono in modo incompleto», riporta la missiva finita all’indice, o non lo conoscono proprio grazie ad un capillare e sapiente uso dell’arma della censura, sempre in pugno alle autorità di Pechino. E allora, solo ultimo di una interminabile serie di episodi, il 26 maggio il Global Times – un giornale che spesso difende in modo aggressivo le posizioni del suo editore, il Partito Comunista Cinese – si è scagliato con un editoriale contro gli autori della lettera, definendoli «giovani che hanno subìto all’estero un lavaggio del cervello». Già, perché il nemico occidentale, nella Cina del socialismo maoista applicato al moderno turbocapitalismo, è sempre in agguato…

I fatti di quel tragico giugno 1989

O, peggio ancora, in ascolto: e così, censura sia. Come censura è stata già in contemporanea con gli accadimenti di quella storica notte tra tra il 3 e il 4 giugno del 1989, quando l’Esercito di Liberazione Popolare (Pla) intervenne in forze per sgombrare la piazza centrale di Pechino dalle migliaia di giovani che l’avevano occupata per quasi due mesi. Scesi in massa in quell’imponente parte della città trasformata, anche se per poco, in una moderna agorà cinese, epicentro di rivendicazioni coraggiose e dirompenti: prima fra tutte l’istituzione di un sistema politico democratico. Dopo aver inizialmente tollerato le proteste, il governo decise di dichiarare la legge marziale e di reprimere le manifestazioni con la forza, mandando l’esercito contro i manifestanti. In quelle tragiche ore, studenti e cittadini cercarono di sbarrare il passo alle truppe, che reagirono sparando e uccidendo centinaia di persone. Secondo Amnesty International nella repressione violenta morirono almeno mille persone e all’incirca altre diecimila rimasero ferite. Centinaia furono anche gli arresti. Dati, cifre, ricordi, supposizioni: tutto destinato a rimanere ufficialmente e in gran parte un mistero. Tanto che oggi, a 26 anni di distanza da quello storico utilizzo del braccio violento della legge, quelle voci continuano a essere messe a tacere imponendo sordine e silenziatori al ricordo. Alla celebrazione. Alla richiesta di verità. Basti pensare che l’anniversario di piazza Tiananmen non è mai stato pubblicamente celebrato in Cina, anche se ogni anno ci svolgono rituali commemorazioni a Hong Kong e a Taiwan.

 

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