L’avanzata dell’Islam vista da destra: Aldo Di Lello ricorda verità scomode

29 Mag 2015 16:52 - di Redazione

Perché un giovane di 20 anni decide di farsi esplodere nel nome di Allah? Perché lIslam radicale rappresenta una seria minaccia per l’Europa? Perché la mente di tanti islamici è tornata al Medio Evo? Risponde Aldo Di Lello in un libro appena uscito in versione digitale, Il codice dell’Apocalisse – Perché l’islamismo ci fa guerra (Koinè Nuove Edizioni). L’autore ricorda verità scomode, a partire dal rovinoso effetto del politically correct, che disarma la nostra società e spiana la strada ai jihadisti in marcia: uno dei capitoli del libro si intitola non a caso “Europa invertebrata”. Neanche le efferatezze più gravi – denuncia Di Lello – spingono le classi dirigenti europee a riconoscere la realtà della guerra globale in atto. «Non conviene sentirsi in pace se altri ti hanno dichiarato guerra: autorizza nuovi attacchi e nuove atrocità».

L’ansia messianica dei “guerrieri” dell’Islam

La prima regola per conquistare la piena consapevolezza del pericolo che corriamo è capire le ragioni che muovono i nemici del nostro sistema di vita e della nostra civiltà. La geopolitica è certo un profilo cruciale, soprattutto in relazione agli interessi per il controllo delle rotte energetiche nelle terre dell’Islam, dove l’Isis compie le sue efferatezze più atroci. Ma ci sono anche altri profili, più profondi e prepolitici, che possono essere completamente spiegati solo ricorrendo agli strumenti offerti dalla cultura di destra, come il concetto di teologia della storia e di homo religiosus, il concetto di identità religiosa, il concetto di statualità. Per l’autore la parola-chiave è quella di “Apocalisse”: senza il ricorso all’ansia messianica presente nell’escatologia dell’Islam (come anche nelle altre religioni del Libro, la cristiana e l’ebraica) non si riuscirà mai a comprendere perché tanti giovani europei, immigrati di seconda e terza generazione, decidono di correre ad arruolarsi sotto le bandiere nere del Califfato di Abu Bakr Al Baghdadi. È qui la sconfittà più rovinosa dell’Europa. È qui la rivelazione traumatica delle sua incapacità a rappresentare un modello di vita e di società. “Integrazione” è la parola magica che tutti invocano, ma non risolve il problema alla radice. Occorrebbe invece riscoprire l’identità  storica della statualità europea. Come ha insegnato Carl Schmitt (Di Lello si richiama all’idea del Nomos della terra), lo Stato europeo nasce proprio con una funzione “antiapocalittica”: far cessare le guerre di religione del XVI e XVII secolo. Accade oggi invece che agli Stati europei, ridotti al mero funzionalismo burocratico, siano stati sottratti ogni significato ideale e ogni valore metastorico. L’Europa invertebrata è insomma vulnerabile da un punto di vista culturale prima ancora che politico. Ed proprio questo l’aspetto più grave.

L’Europa rischia di fare la fine della rana nella pentola

Senza questo richiamo forte alla statualità – ragiona l’autore – non riusciremo mai a risolvere il problema politico della crescita delle comunità musulmane dentro la società europea. Il pallido illuminismo delle classi dirigenti è destinato a soccombere di fronte all’espansione di un Islam caratterizzato da una forte coesione morale e culturale. È la cupa profezia di Michel Houellebecq, nel libro di Di Lello più volte richiamata. Il rischio paventato dall’autore è quello di fare la fine della rana nella pentola: «Una rana nuota allegra dentro una pentola sotto cui è stato da poco acceso il fuoco. All’inizio il batrace prova una piacevole sensazione di calore. Continua a nuotare anche quando comincia a sentire un leggero fastidio. Quando il caldo diventa insopportabile, vorrebbe saltare fuori, ma non ce la fa perché troppo indebolito. E finisce bollito». È la fine che farà la nostra società se continuerà a prevalere il canone pervasivo del politically correct. «Altro che Je suis  Charlie», conclude l’autore.«Ci vogliono frasi forti e parole mobilitanti per combattere una guerra che non abbiamo voluto, ma nella quale siamo precipitati, ci piaccia o non ci piaccia».

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