No Tav, ecco i filmati che li incastrano. Fra loro anche l’ex-Br irriducibile

28 Apr 2015 17:13 - di Roberto Frulli

La violenza dei No Tav? E’ «comprovata non soltanto dalle parole» dei testimoni, «ma anche dai documenti filmati».I giudici Quinto Bosio, Paolo Gallo ed Emanuela Ciabatti che lo scorso 27 gennaio hanno condannato 47 No Tav a 140 anni complessivi di carcere per gli scontri del 2011 al cantiere di Chiomonte non nutrono alcun dubbio sulla pericolosità sociale e sulla portata delinquenziale dei 47 fra anarcoinsurrezionalisti ed esponenti dei Centri sociali che diedero l’assalto ai mezzi e agli operai che vi stavano lavorando. E citano, a tal proposito, i filmati delle violenze compiute.
«E’ provato con assoluta certezza – scrivono i tre giudici nelle motivazioni della sentenza depositate oggi e accolta quel 27 gennaio dalle urla dei complici – che con il lancio di sassi, estintori, travi e altri oggetti contundenti i manifestanti si opposero violentemente alla legittima azione del personale di polizia».
Secondo i magistrati, è anche evidente che, a differenza di quanto sostenuto dal movimento No Tav, «la progettazione e realizzazione dell’opera siano specificamente volute dall’organo rappresentativo della sovranità popolare».
La Corte definisce «imbarazzante» l’impostazione dei difensori dei No Tav secondo cui «occorrerebbe riconoscere una patente di particolare eticità a soggetti che, in nome di valori costituzionali, hanno mandato in ospedale 50 persone con lesioni di vario genere, anche gravi»: «in nessun caso – scrivono i giudici – la lotta politica, per quanto nobili siano i suoi fini, può essere condotta attraverso il sacrificio della vita o dell’incolumità individuale altrui».

«Imbarazzante» la difesa dei No Tav secondo i giudici

In definitiva la contrarietà all’opera non può essere un’attenuante agli episodi di violenza avvenuti nell’estate 2011, in occasione dell’insediamento del cantiere della Torino-Lione.
E, d’altra parte, «vi fu un uso legittimo della forza da parte del personale di polizia e un uso illegittimo (della forza, ndr) da parte degli imputati».
In particolare, secondo la Corte fu legittimo anche l’uso dei gas lacrimogeni, contestato dai legali della difesa.
«Le forze dell’ordine – aggiungono i giudici – avevano il potere-dovere di usare la forza, ivi compreso l’utilizzo dei lacrimogeni, allo scopo di dare coattiva esecuzione all’ordinanza prefettizia che disponeva l’occupazione dell’area».
In conclusione, «l’uso della forza fu necessitato, consentito dall’ordinamento ed ebbe luogo con modalità rispettose delle norme vigenti, onde non sono ravvisabili eccessi o profili di arbitrarietà».
Altrettanto fu legittima l’ordinanza dell’allora prefetto di Torino, Alberto Di Pace, con cui fu disposta l’occupazione dei terreni destinati a ospitare il cantiere della linea Tav Torino-Lione.
A contestare il provvedimento erano stati i legali di alcuni imputati. Non vi fu neppure un difetto di comunicazione da parte delle forze dell’ordine, sostengono i giudici: «ai reiterati inviti» ad allontanarsi dall’area i manifestanti risposero «soltanto» con «manifestazioni di dileggio».
Due le giornate al vaglio dei giudici impegnati nel maxi processo per i tumulti divampati in Val di Susa nell’estate del 2011: quella del 27 giugno, quando le forze dell’ordine, facendosi strada tra una fitta sassaiola, sgomberarono con le ruspe e i lacrimogeni il vasto presidio allestito dai No Tav nella zona dove oggi sorge il cantiere di Chiomonte, e quella del 3 luglio quando, durante una manifestazione con decine di migliaia di partecipanti, i No Tav scatenarono il primo degli assalti alle recinzioni.

Dopo la sentenza, nuove violenze dei No Tav

La sentenza sollevò il 27 gennaio scorso una massiccia protesta dei No Tav che nel giro di pochi minuti si radunarono bloccando per prima cosa il vicino accesso alla tangenziale di Torino. I manifestanti si diressero poi sulla statale 24 bloccando anche l’autostrada del Frejus in Val di Susa all’altezza di Bussoleno scontrandosi con le forze dell’ordine che fermarono tre No Tav.
Per gli attivisti il conto della sentenza è stato comunque salato. Le pene comminate dai tre giudici spaziano da un paio di modeste multe a 250 euro ai quattro anni e sei mesi inflitti a due imputati: uno di loro è il settantenne Paolo Maurizio Ferrari, ex-irriducibile delle Brigate Rosse che dopo una detenzione lunga trent’anni ha trovato, una volta libero, la voglia di salire in Val di Susa e partecipare alle manifestazioni No Tav. Nel mezzo, tante condanne a più di tre anni di reclusione. E poi ci sono i soldi. Oltre 150 mila euro fra indennizzi e acconti (le cosiddette “provvisionali”) alle parti civili: ministero dell’Interno (record con oltre 50 mila euro), ministero della Difesaministero dell’Economia, sindacati di polizia, oltre centocinquanta agenti, la societa’ Ltf che si occupa della Torino-Lione.
Ed è proprio il legale di Ltf a spiegare che «non sono state condannate le idee, sono stati condannati i comportamenti illeciti. Il dispositivo della sentenza, tanto lungo e articolato che per leggerlo i giudici hanno impiegato un’ora, dimostra come le singole posizioni siano state vagliate con grande accuratezza».

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