Milano, insultano perfino i deportati ebrei. Il 25 Aprile è una data da archiviare

25 Apr 2015 18:26 - di Niccolo Silvestri

Diciamolo così, sommessamente ma anche decisamente: l’attuale 25 Aprile andrebbe archiviato perché è una celebrazione che divide. Divide chi partì partigiano da chi, animato da ideali parimenti nobili e patriottici, si arruolò nella Rsi. Divide gli antifascisti al loro interno, quelli cattolici che volevano porre fine alla dittatura fascista, da quelli comunisti, che volevano invece sostituirla con quella del proletariato. Insomma, è diventata talmente irresistibile la tentazione di farne una “festa” di parte da non riconoscere più neppure gli ex-deportati israeliti nei lager nazisti. A Milano i reduci della “Brigata ebraica” sono stati costretti ad arrotolare le bandiere con la stella di David sotto gli insulti minacciosi di decine di estremisti rossi che per l’occasione hanno sfoderato lo stesso slogan in uso contro i missini negli anni ’70: “Fascisti carogne, tornate nelle fogne», intervallato da quello più mirato: «Sionisti assassini».

La Resistenza sempre più festa di parte, egemonizzata dalla sinistra

Un episodio doloroso e sconcertante e che, soprattutto, fa a pugni con la mielosa e sempre più vuota retorica “resistenzialista”. Polemiche, ripicche, veri incrociati e regolamenti di conti vecchi e nuovi all’interno della sinistra rendono ormai evidente quel che da tempo doveva essere chiaro a tutti: la nascita dell’Italia non può essere fatta risalire all’epilogo di un cruento scontro fratricida seguita ad una rovinosa guerra ideologica persa dall’intera nazione e non solo da Mussolini e dai suoi gerarchi. Per decenni ci hanno fatto credere il contrario, complice anche l’egemonia culturale del Pci. E quando il recinto dei partiti di massa della Prima Repubblica risultava abbastanza spazioso e sufficientemente legittimato nella pubblica opinione, è stato facile imporre la Resistenza come il sequel del Risorgimento.

L’Italia moderna è nata il 4 Novembre, non il 25 Aprile

Ma si tratta di una menzogna grande come una casa. Prova ne sia l’arcigna sorveglianza tuttora esercitata dall’industria culturale su ogni forma di revisionismo storico azzardasse a ripristinare o ad introdurre un minimo di analisi serena e non asservita a logiche di parte nella nostra memoria lacerata. La stessa nozione di “guerra civile”, emersa dopo decenni di soffocamento ideologico grazie ad uno storico azionista come Claudio Pavone e, sul piano politico-istituzionale, per merito di Luciano Violante, sembra oggi di nuovo inabissata sui limacciosi fondali del conformismo e della ricerca acritica. Non stupisce, dunque, se col tempo la nostra mancanza di memoria condivisa si sia trasformata in un’emergenza politica e territoriale, con il Sud che contesta l’unificazione del 1861 e il Nord che non sa più come gestire il 1945. È quel che succede a furia di nascondere la polvere della menzogna sotto il tappeto della propaganda travestita da storia. In realtà, c’è solo una data che varrebbe la pena festeggiare, quella che congiunge il Risorgimento delle elites con l’irrompere del popolo sulla scena della storia nel Primo conflitto mondiale: il 4 novembre. Ma, guarda caso, è stata abolita.

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