La “Festa della Liberazione” ha 70 anni. E li dimostra tutti

23 Apr 2015 14:48 - di Lando Chiarini

Un 25 Aprile all’insegna della massima mobilitazione mediatica, ma anche dei veti, delle ripicche e delle esclusioni. Se ancora fino a qualche tempo fa tali celebrazioni servivano a diffondere e a rafforzare la religione civile della “Liberazione“, sul cui culto poggiava la retorica dell’Italia “nata dalla Resistenza“, oggi, a settant’anni di distanza, le stesse non riescono a trasmettere altro che il senso di una festicciola di partito, e per di più, impastata di polemiche.

25 Aprile con polemiche e veti ad Alessandria

Emblematico è il caso di Alessandria, il cui sindaco Maria Rita Rossa, “piddina” di confessione renziana, si è vista categoricamente bocciare dall’Anpi la proposta di affidare ad un ministro (Orlando, Boschi, Pinotti) l’orazione ufficiale. Niente da fare. Ufficialmente, perché alle celebrazioni non partecipano i membri del governo. In realtà, perché gli uomini (e le donne) di Renzi non risultano graditi all’associazione dei partigiani. Diversamente da Sergio Cofferati, il cui nome è stato fulmineamente rispedito al mittente dal sindaco, che lo ha bollato come una provocazione: «Ha denunciato il partito dopo aver perso le primarie». A sua volta l’ex-leader della Cgil ha controreplicato in un crescendo rossiniano di dichiarazioni e prese di posizioni il cui interesse è davvero pari a zero.

La “Liberazione” come retorica partigiana fu imposta dal Pci

La “baruffa alessandrina” non stupisce più di tanto. Anzi, da un certo punto di vista rappresenta lo scontato epilogo di una ricorrenza mai stata veramente di tutti. Non lo è stata per gli italiani del Sud, “liberati” solo dalle truppe americane sbarcate in tutta libertà in Sicilia con l’appoggio dei mafiosi costretti dal regime di Mussolini ad espatriare negli Stati Uniti. Non lo è stata per quegli italiani del cosiddetto “triangolo della morte” – non necessariamente fascisti, anzi – per i quali la guerra cominciò nel momento in cui finiva per tutti gli altri. Non lo è stata, infine, per quella generazione di giovani che si arruolò dall’altra parte per servire la nazione più che la fazione. Sono aspetti arcinoti, ma ignorati da ben 70 anni. È esattamente da allora che la Resistenza è una festa di parte. Per renderla davvero nazionale e patriottica sarebbe servita una grande e coraggiosa “operazione verità”. È accaduto l’esatto contrario e chi, come Gianpaolo Pansa, ha cercato da sinistra di avviarla, si è ritrovato insultato e isolato dal “culturame” ufficiale. Tutto normale in un’Italia, unica nazione al mondo in cui si festeggia la tragedia della guerra civile. È proprio questo, del resto, il frutto avvelenato della retorica partigiana del 25 Aprile imposta dal Pci. Nessuna meraviglia, dunque, se siano oggi i suoi eredi nel Pd ad usare la “Liberazione” per regolare i conti al proprio interno.

 

 

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