25 aprile: Mattarella riporta indietro l’orologio della Repubblica

16 Apr 2015 17:59 - di Aldo Di Lello

25 aprile: Mattarella riporta indietro l’orologio della Repubblica. Ecco cosa scrive il Capo dello Stato in un messaggio inviato alla rivista Micromega (destinatario assai significativo) in occasione della pubblicazione di un numero speciale sulla resistenza: «La ricerca storica sulla resistenza – afferma Mattarella – deve continuamente a svilupparsi» ma «senza pericolose equiparazioni» fra i due campi in conflitto. Sia detto con tutto il rispetto, ma certe esepressioni di Sergio Mattarella (che ha anche partecipato alla Camera a una commemorazione del 25 aprile 1945) non sono in linea con quello spirito di riconciliazione nazionale e di tentativo di ricucitura delle lacerazioni storiche del Paese che aveva caratterizzato, in vario modo, i suoi predecessori. Non che sia cambiato il racconto istituzionale del 25 aprile (è sempre lo stesso, dalla nascita della Repubblica, nel 1946, in poi). Rispetto al recente passato, sembrano però cambiate le sfumature, unitamente allo stile e alla scelta delle parole. È non è cosa da poco perché ciò rivela un mutamento dello spirito del tempo, almeno a livello istituzionale. Le «pericolose equiparazioni» di cui parla Mattarella sono il segno di una involuzione nella maturazione storico-civile avvenuta negli ultimi 20 anni. Da quando, per la precisione nel 1996, Luciano Violante, pur eletto nelle liste del Pds (ex Pci), pronunciò questa storica frase nel suo discorso d’insediamento come presidente della Camera: «Bisogna sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per cui migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto si schierarono dalla parte di Salò e non di quella dei diritti e delle libertà». Il primo, spontaneo, segno che qualcosa di importante stava avvenendo sul fronte della pacificazione nazionale, furono le lacrime di commozione che comparvero subito sul volto di Mirko Tremaglia.Violante non ha detto, in fondo, cose  diverse da quelle che dice oggi Mattarella. Ma ha detto una cosa in più, che fino ad allora era mancata nella comunicazione istituzionale.

Quello che dissero Ciampi, Napolitano e (persino) Scalfaro

Da quel tempo sembra passato un secolo. Come sembra passato un secolo anche rispetto al 2002, quando Carlo Azeglio Ciampi affermò: i giovani di Salò «sbagliarono», ma lo fecero «credendo di servire ugualmente l’onore della propria patria», animati da un sentimento di «unità» nazionale. Il giudizio storico sulla Repubblica di Salò – disse ancora Ciampi –  «non può dimenticare» che «essa appoggiò, con la sua azione, la causa del nazismo. Anche se scelte individuali di adesione furono ispirate al convincimento di fare in tal modo il proprio dovere». Ecco cosa disse invece il diretto predecessore di Mattarella, Giorgio Napolitano (Milano 2010): «Il 25 aprile non è solo Festa della Liberazione: è festa della riunificazione d’Italia». «Personalmente – aggiunse – ho più volte ribadito come non ci si debba chiudere in rappresentazioni idilliache e mitiche della resistenza e in particolare del movimento partigiano, come non se ne debbano tacere i limiti e le ombre, come se ne possano mettere a confronto diverse letture e interpretazioni: senza che ciò conduca, sia chiaro, a sommarie svalutazioni e inaccettabili denigrazioni ritengo giusto che si concepisca anche la celebrazione di anniversari come quello della Liberazione, al di là degli steccati e delle quotidiane polemiche». E c’è da citare anche quello che disse  Oscar Luigi Scalfaro: «Dobbiamo ricordare tutti quelli che hanno pagato quell’alto prezzo. Anche quelli che si batterono per ideali che non condividiamo. Solo il leale rispetto della verità può essere la base di una vera pacificazione».

Tornano le logiche manichee?

Da tutte queste citazioni emerge uno spirito di ricomposizione storica  e politica dell’Italia. Dalle odierne parole di Mattarella traspare invece il ritorno a una sorta di logica manichea, che pensavamo fosse stata archiviata. C’è da chiedersene il perché. Al di là della considerazione delle personali convizioni di Mattarella derivanti dalla sua formazione  politico-culturale, i motivi possono essere diversi. Tra questi ci sarà sicuramente una precisa causa politica: l’indebolimento della destra, della destra italiana che ha sempre avuto, tra i motivi costitutivi della sua mission, quello della pacificazione nazionale e del superamento dei drammi storici, nel rifiuto di  ogni manicheismo.  Questo indebolimento comincia evidentemente a farsi sentire nello spirito pubblico e a riverberberarsi nell’alta comunicazione istituzionale.

 

 

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