Farkhunda, l’afghana uccisa: “disturbava” il business di un mullah
Aveva 27 anni Farkhunda, la giovane afghana uccisa a pietre, calci e pungi a Kabul. Era giovane, coraggiosa e, soprattutto, innocente. Una nuova verità emerge dalle indagini: quella povera donna linicata a morte dalla folla impazzita perché accusata ingiustamente di aver oltraggiato il Corano, dando addirittura alle fiamme il libro sacro dell’Islam, non solo non ha mai compiuto il gesto che le hanno addebitato, ma la sua “colpa” consisterebbe in tutt’altro.
Farkhunda, una nuova verità
Ancora un caso in cui l’alibi della fede e la finta accusa dell’oltraggio religioso vengono chiamati in causa per giustificare la violenza cieca e inaccettabile che porta al sacrificio di una vita. La colpa di Farkhunda, infatti, se di colpa si può parlare, sarebbe stata quella di aver rimproverato un noto mullah che smerciava amuleti alla porta della moschea. Proprio l’uomo, allora, infuriato per i potenziali danni che la donna stava arrecando al suo business, avrebbe accusato Farkhunda di aver appiccato il fuoco ad un Corano, provocando una immediata e sconsiderata reazione da parte della gente, più che mai sensibile all’argomento. E non è tutto: a Kabul, la ricostruzione fatta dalla brigata criminale degli eventi che hanno condotto alla morte violenta di Farkhunda ha svelato altri particolari inediti e agghiaccianti, che aggravano la posizione di quanti hanno contribuito a quella tragica fine.
Agghiaccianti rivelazioni
Secondo l’agenzia di stampa Pajhwok, la vittima era una persona devota, che aveva appena terminato un corso di studi religiosi e che mai avrebbe potuto offendere il Corano. Ma la suggestione dell’argomento – l’infedeltà religiosa – ha subito fatto leva sulla folla che, senza sapere e, forse,senza neppure capire, ha immediatamente giudicato colpevole la vittima indicata dal mullah, sentenziando per lei la condanna a morte. Una condanna eseguita con risolutezza: e così, portata la vittima delle ingiurie e della pena corporale sul tetto della moschea, è stata gettata nel vuoto, mentre un’auto che si trovava sulla strada ne ha travolto volontariamente il corpo, decretandone la fine. Il cadavere, e questa è invece la parte nota, è stato poi trascinato sulla riva del fiume ed incendiato.
Dimostranti in piazza
Per denunciare il brutale omicidio e chiedere dure condanne per i responsabili, compresi gli agenti di polizia che hanno assistito passivamente a quanto accadeva, almeno 3.000 persone, come nei giorni scorsi, sono nuovamente scese in piazza a Kabul. Nonostante la pioggia battente, i dimostranti sono restati a lungo in strada davanti all’edificio della Corte Suprema gridando slogan quali «Giustizia per Farkhunda!» e «Morte ai suoi killer!». Molti di loro mostravano la riproduzione del volto insanguinato della donna poco prima della morte. E un primo risultato, forse, queste manifestazioni di protesta l’hanno ottenuto: oggi, infatti, è stato esonerato il portavoce della polizia della capitale Hashmatullah Stanikzai, fra i primi a voler giustificare l’accaduto. Inoltre, ha reso noto il ministero dell’Interno, il numero delle persone arrestate per complicità materiale o morale è salito a 42, fra cui ben 20 agenti di polizia e 22 civili. Una tragica vicenda di cui non stupirebbe se dovessero emergere nuovi, inquietanti risvolti…