“Tazzulella ‘e caffè” addio: un’identità insidiata dal “marocchino” low cost
No, la “tazzulella ‘e caffè” non si tocca. In una tazzina di Espresso non c’è solo una bevanda energizzante, c’è molto di più, c’è un Paese, una storia, un’identità. Dal caffè del mattino all’ultima tazzina della sera, prendere un caffè è un rito che si tramanda di generazione in generazione, uno stile di vita che è unicamente italiano e che porta al di fuori dei confini del Bel Paese un gusto e un aroma inconfondibili. Eppure al bancone del bar non è più come una volta.
Il boom del “marocchino”
Sul rito del del caffè italiano rischiano di abbattersi un “imbastardimento” del gusto, nuove tendenze, nuovi trend che edulcorano e snaturano una specificità tutta nostra. Il che non ci fa onore. Oggi l’ordinazione del caffè riflette nuovi gusti e correzioni, ed è boom di richieste delle varianti marocchino, macchiato caldo, freddo. Le conseguenze si fanno sentire. «Capita sempre più spesso di sentire lamentele sul sentore di bruciato, e c’è chi dichiara di bere meno caffè perché lo sente più forte di un tempo. Soprattutto le donne, che ne fanno di necessità virtù ordinando caffè macchiati a proprio gusto». Insomma la classica“tazzulella ‘e caffè” a volte è una vera e propria “ciofeca”. A parlare è Raimondo Ricci, titolare dello storico locale romano Sant’Eustachio, tempio del caffè tra il Senato e Piazza Navona. Non solo, sulla tazzina di caffè doc si abbatte anche la crisi economica e i nuovi trend nascono «dalla perdita di qualità nei bar italiani che, per rientrare nei costi gestionali, scelgono miscele con la Robusta che costa la metà dell’Arabica ma ha il doppio di caffeina». A forza di inseguire mode globalizzanti e risparmiare sull’unico prodotto che andrebbe salvaguardato in un bar italiano che si rispetti si producono disastri anche sotto il profilo della salute.
Un caffè o una “ciofèca”?
«In alcuni distributori automatici – continua Ricci – capita di bere caffè che bucano lo stomaco a chi ha la gastrite, perché si degusta un espresso con miscele 100% Vietnam di bassa qualità. Purtroppo il costo della tazzina negli 8mila bar della Capitale si aggira sugli 0,80 centesimi, meno di un quotidiano e quasi la metà di un biglietto dell’autobus (tariffe a cui un tempo era agganciato il costo dell’espresso) e ciò spinge i gestori alla scelta di torrefazioni economiche, col rischio di allontanare sempre più i clienti dal rito del caffè. Capita sempre più spesso di bere al bar miscele imbevibili e corere ai ripari allungandi con latte, chili di zucchero e correzioni varie. Con la conseguenza che gli stessi consumatori italiani hanno perso la cultura della moka. Nel libro di Pellegrino Artusi c’erano anche le ricette e le indicazioni per comprare caffè crudo, ora noi scriviamo sul barattolo della nostra miscela che ha caffeina 1,18, la minima cioè al mondo e meno della metà delle miscele low cost che hanno 3 di caffeina, ma lo capiscono solo gli stranieri questo valore. L’espresso è una invenzione italiana del 1905, andrebbe tutelata – propone infine Ricci – con una Doc o Dop, e per la salute è un po’ come l’olio negli ingranaggi, fa bene. Ma noi la sviliamo e gli stranieri fanno soldi con le catene multinazionali».È di qualche tempo fa l’idea di un gruppo di Torrefattori del Triveneto di lanciare il progetto di tutelare l’espresso italiano tradizionale, per ottenere il riconoscimento di bene immateriale dall‘Unesco. Sarà il caso di riprendere il progetto?