In un’intervista Tarchi racconta la deriva di certi ambienti “destrorsi”
Riproponiamo l’intervista di Marco Tarchi al Fatto quotidiano e ripresa da Destra.it. Lo studioso fiorentino analizza con attenzione la nota vicenda romana e la deriva politica e morale di alcuni ambienti “destrosi”. La diagnosi è dura ma, purtroppo, corretta. Un articolo da leggere e discutere.
Dice Carminati a Buzzi: “E’ la teoria del mondo di mezzo, compà”. Mafia Capitale ci restituisce l’ultimo capitolo della rivoluzione impossibile. Da camerata a compare. Come è stato possibile?
Risponde Tarchi: «Non vedo nessi fra le aspirazioni utopiche di un microcosmo come quello neofascista degli anni Settanta-Ottanta e le squallide vicende odierne. Anche se dall’esterno molti faticano ancora oggi a capirlo, quell’ambiente politico non era, umanamente, agli antipodi di altri di diverso segno. Ci si trovava di tutto: dagli idealisti ai carrieristi, dagli onesti ai delinquenti, dai teppisti alla “gente d’ordine”. Io non ho mai giudicato, per dire, la sinistra extraparlamentare dal destino di un certo numero di suoi militanti finiti in pessimi giri. Certo, negli ambienti in odore di estremismo la proporzione di spostati, ribelli e marginali è sempre maggiore, e le conseguenze si vedono. Ma, anche se la battuta è scontata, non va fatto d’ogni erba un fascio».
Quando venne eletto, Alemanno fu accolto dai saluti romani al Campidoglio. E’ finita con un sistema rossonero dominato dall’affarismo e tante suggestioni da romanzo criminale.
«A me, ma anche a non pochi amici provenienti dall’esperienza missina, quello spettacolo capitolino apparve patetico e ridicolo nel contempo. E indicativo della mancata risoluzione del nodo cruciale dell’identità che aveva accompagnato Alleanza nazionale in tutta la sua storia: mentre Fini esibiva la sua più o meno sincera conversione liberale, i ventenni di base continuavano a celebrare grotteschi riti nostalgici. Era il trionfo della linea della doppiezza, utile a conservare un potenziale di ricatto verso gli alleati, e nel contempo il sigillo della nullità propositiva di una classe dirigente che non aveva saputo imboccare la via di un’evoluzione coerente e meditata. In mancanza di quella, non restava che l’abbuffata del sottogoverno, con tutte le sue conseguenze».
In questo caso non è la politica che controlla il sistema ma il contrario. Burattini, non burattinai. Si ribalta il complesso di Mosè tra capo e militanti?
«Da quando si è iniziato a celebrare il funerale delle grandi aspirazioni a cambiare il mondo, delle ideologie, dei progetti – magari ingenui – di rifondare da capo a piedi una società, è apparso chiaro che la politica si sarebbe ridotta, per chi intendeva praticarla a tempo pieno, a carrierismo. E in un contesto in cui è l’economia a segnare l’orizzonte dei valori e delle aspirazioni e l’arricchimento è il metro della considerazione sociale, non ci si può stupire se molti “politici di professione” non sono altro che arrampicatori spregiudicati, disposti a qualunque compromesso (per essere eufemisti). Il mondo già neofascista non ha fatto eccezione. Ma da qui ad equipararne tutti i militanti a reali o potenziali delinquenti, ce ne corre».
L’amministrazione Alemanno è sempre stata al centro delle polemiche per i rapporti con l’antico mondo nero, dai Nar a Terza Posizione per arrivare alla più recente Forza Nuova. Secondo lei, l’ex sindaco aveva un patto d’onore con i vecchi camerati?
«L’onore è una parola forte. Penso che, volendo costruire una rete di sostegno dopo essere giunti a un successo inatteso, sia più facile e comodo puntare sulle vecchie conoscenze che partire da zero guardando ad altri ambienti. Anche se Alemanno, come è noto, soprattutto attraverso la sua fondazione Nuova Italia, ha cercato addentellati anche negli ambienti cattolico-conservatori. Credo che abbia contato anche, in certi contatti pericolosi e sgradevoli, la sindrome degli ex reclusi nel ghetto, che ha sempre connotato il neofascismo romano. Dove vigeva la mentalità del “siamo tutti camerati” (un po’ l’equivalente del “compagni che sbagliano”), che era bersaglio delle critiche di quanti avevano ben presenti le distanze tra Msi ed extraparlamentarismo e ci teneva a rimarcarle»
Alemanno è stato rautiano, come lei. Un mondo contrapposto al doppiopetto di Almirante. In ogni caso la Seconda Repubblica ha sancito il fallimento di entrambe le due maggiori correnti storiche del Msi. Fini è naufragato a Montecarlo, Alemanno su Carminati.
«Sulla corrente di Rauti si è molto favoleggiato e travisato, sebbene uno studioso nettamente schierato a sinistra come Piero Ignazi fin dalla fine degli anni Ottanta ne abbia disegnato un profilo corretto, dipingendola come l’ambiente interno al neofascismo in cui più si era attenti al dibattito culturale, si accettava il confronto con la modernità e si demolivano gli stereotipi nostalgici. Quel che non si dice è che da quell’ambiente non sono usciti solo gli Alemanno e altri mestieranti della politica, ma anche accademici, dirigenti di vertice di associazioni ambientaliste “ufficiali”, managers che sono finiti sulle prime pagine dei maggiori quotidiani per le loro qualità inventive, personaggi di successo del mondo della informazione e dello spettacolo, funzionari statali di grado elevato, membri del Csm e perfino un giudice della Corte costituzionale. Tutto questo non risulta – e non risalta – perché, nel loro caso, non si è costituita alcuna lobby come quella accreditata agli ex di Lotta Continua. Sono stati tutti percorsi individuali indipendenti. Ma sta a dimostrare che non si trattava certo di un’accolita di sprovveduti estremisti con velleità golpiste o insurrezionali».
Lei che ha inventato la Voce della Fogna si sarebbe mai aspettato questa trasfigurazione criminale della Terra di Mezzo tolkeniana?
«No davvero. Quel giornaletto politico-satirico era nato, prima ancora che per replicare agli avversari, per fare autocritica dei tanti insopportabili vizi che affliggevano il neofascismo, e non a caso fu proprio su quelle colonne che si tentò di far trasmigrare l’immaginario collettivo di quell’ambiente dal Ventennio alla Contea tolkieniana. Spero comunque che fra il “mondo di mezzo” di cui si parla in questi giorni e la Middle Earth di Bilbo, Frodo e soci non ci sia altro che una vaga assonanza linguistica».
Un’altra frase di Carminati, prima spontaneista armato, poi in contatto della Banda della Magliana, che colpisce è questa: “Bisogna vendersi come le puttane, adesso”. Il fascino del male (assoluto) è sempre corrotto dal denaro. E’ Sauron che riesce a riprendersi l’anello del potere?
«Volerei molto più basso. È una delle tante prove che la passione politica non preserva dalle miserie antropologiche. Tutt’altro».
E’ mai esistita, a questo punto, una diversità nera, tenendo presente anche i rapporti storici tra ambienti di destra e massoneria e servizi deviati?
«Per certi versi sì, perché quell’ambiente ha sempre celebrato propri culti, innalzato propri idoli, coltivato propri sogni che non coincidevano con quelli del mondo che gli era estraneo (e a cui era estraneo). Per altri no, perché nei vizi molto spesso comunicano ambienti e individui che per il resto sono molto diversi. È una regola che non vale solo per l’ambito politico».
Lei spiegò così la Voce della Fogna: “Tutto fuori puzza. Il profumo si è rifugiato nelle fogne”. Quarant’anni dopo quel mondo è solo gestionismo del potere, solo soldi e opportunismo?
«Quell’affermazione, che prendeva di mira lo slogan “fascisti carogne, tornate nelle fogne” e mirava a considerare queste metaforiche ridotte come le nuove catacombe da cui sarebbe partita una riscossa culturale ed esistenziale, era indubbiamente spropositata e oggi può sembrare insensata. Ma se i giovani missini di allora avessero accolto quel messaggio, invece di farsi abbindolare dai proclami ondivaghi e talvolta ipocriti dei loro maggiorenti, parecchie pagine oscure non sarebbero state scritte».
C’è uno specifico romano in questa vicenda? In fondo anche il fascismo una volta al potere si rammollì nei palazzi della capitale, come per esempio ha scritto Fusco.
«Altroché se c’è! Ai tempi de La voce della fogna si parlava apertamente di “cloaca romana” per descrivere i maneggi, gli intrecci sgradevoli e il pressapochismo che caratterizzavano buona parte (c’erano, ovviamente, eccezioni lodevoli) del panorama missino della Capitale. Ma era roba da niente rispetto alle porcherie odierne».
Che impressione le fa il nuovo termine fasciomafioso?
«Come molti neologismi dei nostri anni, mi pare buono per attirare l’attenzione, molto meno per capire ciò che vorrebbe descrivere. Perché questa associazione delinquenziale, a quanto pare, di addentellati politici ne aveva di vari colori: rossi, neri, bianchi…».