Garouan, jihadista convinto, per i giudici italiani non era un terrorista

13 Nov 2014 10:18 - di Giorgia Castelli

Per la giustizia italiana Brahim Garouan non era un terrorista. Non è il primo caso. Il magrebino era stato arrestato con l’accusa di terrorismo, poi i giudici lo avevano assolto. Non solo: l’uomo aveva ricevuto anche un risarcimento per la ingiusta detenzione, in totale 60mila euro per gli otto mesi e otto giorni trascorsi nel 2011 in carcere. Peccato che fosse un jihadista convinto: infatti Garouan ad aprile scorso sarebbe morto combattendo in Siria e il risarcimento ora potrebbe finire alla famiglia.

Innocente in Italia e presunto terrorista all’estero

La storia è stata ricostruita dal Quotidiano del Sud. Tre anni fa Brahim Garouan, suo padre Mohammed, imam di Sellia Marina (Catanzaro) e Younes Dahhaki furono arrestati con l’accusa di essere addestratori di terroristi. La polizia postale e la Digos li avevano controllati per ben tre anni poi scoprirono che a Sellia in provincia di Catanzaro era stata messa su una vera e propria base di addestramento. Gli inquirenti trovarono molto materiale, compresi alcuni video in cui si spiegava ai potenziali jihadisti come fabbricare, ad esempio, una cintura esplosiva per azioni kamikaze, come diventare un bravo cecchino o come preparare ordigni.  Gli investigatori trovarono anche altri video  tratti dal web  e 300 dvd nuovi che secondo l’accusa dovevano servire per riversare le istruzioni da dare ai futuri terroristi.

Per la Cassazione il terrorismo virtuale non esiste

Un’accusa che però fu smontata dai giudici della Cassazione. Per la Suprema Corte «il terrorismo virtuale, fatto di manuali e corsi di formazione, finalizzati  a formare il perfetto terrorista, capace di puntare e colpire l’obiettivo da infallibile cecchino, così come di preparare e utilizzare l’esplosivo, non è reato». Per i magistrati erano dunque solo dei teorici e dunque non avevano commesso nessun reato. I tre così uscirono dal carcere. Padre e figlio appena liberi lasciarono l’Italia e tornarono in Marocco. Ad aprile il giovane è morto, almeno secondo le ricostruzioni, in un bombardamento in Siria. Ora è arrivata la sentenza beffa sul risarcimento: 62mila euro a Dahhaki, 60mila a Garouan.

 

 

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