Poco efficaci i raid anglo-americani: l’Isis avanza e conquista anche Kobane, al confine turco-siriano

6 Ott 2014 16:33 - di Antonio Pannullo

L’Isis, l’esercito del terrore islamico, avanza sempre più, e a quanto pare sono solo i combattenti curdi che resistono, anche se coadiuvati dai – in verità poco efficaci – raid anglo-americani contro le postazioni fondamentaliste. I miliziani dell’Isis hanno issato la bandiera nera dello Stato islamico su una palazzina nella zona orientale di Kobane, la cittadina siriana al confine con la Turchia al centro di una violenta battaglia da settimane. Lo riferiscono i media arabi citando testimoni turchi al confine. Alcuni ufficiali curdi affermano che l’Isis ha preso il controllo di una collina strategica nei pressi della cittadina da cui può martellare con l’artiglieria tutta l’area. Quel che non si capisce è perché gli ultramoderni caccia bombardieri degli alleati non abbiano già spazzato via questa “collina strategica”. Intanto, proseguono furiosi gli scontri, visibili dal confine turco, dove stazionano alcuni carri armati, mentre la gran parte dei mezzi corazzati schierati nei giorni scorsi da Ankara sono stati riposizionati. Domenica alcuni colpi di artiglieria provenienti dalla Siria sono piovuti su un villaggio turco, causando il ferimento di quattro civili. L’Isis a quanto pare continua poi a ingrossare le sue file: il leader della formazione jihadista tunisina Ansar al Sharia, Abou Iyadh, dalla latitanza ha lanciato un appello al capo di al Qaida nel Maghreb islamico, l’emiro Abdelmalek Droukdel, affinché, insieme, si alleino con lo Stato Islamico di Abou Bakr Al-Baghdadi. In particolare, Iyad, in un appello rilanciato dai siti vicini agli jihadisti nordafricani, chiede a Droukdel di unire le forze per “sottomettersi” agli ordini dell’Isis. Iyad, latitante dall’autunno del 2012, dopo l’attacco all’ambasciata americana a Tunisi, si troverebbe in Libia, altra terra senza legge dopo l’intervento dei “liberatori” occidentali, dove, in un campo d’addestramento, starebbe preparando delle unità con le quali attaccare in Tunisia e Algeria, con l’obiettivo di creare, nella regione, un califfato a somiglianza di quello perseguito dall’Isis.

Come si diceva, i curdi resistono senza tregua. Ben addestrate e senza paura: passa dalla prima linea dei fronti di guerra la riscossa, nazionalista delle combattenti curde, pronte da sempre anche alla scelta estrema del suicidio nelle file del Pkk anti turco, come adesso in quelle dei peshmerga, che tentano di resistere all’avanzata dell’Isis nel Kurdistan iracheno. L’attentatrice suicida che domenica si è fatta esplodere contro una postazione del Califfato islamico nei pressi di Kobane è solo l’ultima delle molte che preferiscono la via delle armi al destino di diventare spose-bambine. O magari al rischio dello stupro etnico. E che ora hanno come obiettivo primo i jhadisti neri di al Baghdadi che del Kurdistan e del suo petrolio stanno cercando di diventare padroni. Un caso di suicidio recente – ma non di attentato, risale ai primi di ottobre, quando un’altra giovane guerriera, Ceylan Ozalp, di appena 19 anni, si era tolta la vita sparandosi – secondo i media locali – per evitare di essere catturata dai miliziani dell’Isis che ormai la circondavano. Era invece il 12 settembre, una ventina di giorni fa, quando sulle montagne del Kurdistan moriva combattendo Avesta, 24 anni, capo di una unità di uomini e donne impegnata in un’operazione congiunta Pkk-peshmerga per la riconquista di un villaggio vicino a Makhmour. Sarebbe stata colpita al collo da un proiettile sparato da un miliziano dell’Isis e nonostante il tentativo di trasportarla in un’ospedale non ce l’ha fatta. Ed era turca di origine curda, proveniente dalla Palestina, Fatam Yokumer, che il 21 maggio 2013 si è fatta saltare in aria nel Crocodile cafè di Ankara facendo strage. Si è parlato invece di un regolamento di conti interno per l’assassinio a Parigi, nel gennaio 2013, di Sabine Cansiz, tra le fondatrici del Pkk di Abdullah Ocalan. Nel marzo 2012 quindici terroriste curde furono invece uccise in scontri con le forze di sicurezza nella provincia di Bitlis, nell’est della Turchia. E all’attivo di una donna-suicida è anche l’attentato dell’ottobre del 2011 nel centro di Bingol (est della Turchia) nei pressi della sede dell’ Akp dell’allora premier Recep Tayyip Erdogan. Sono solo alcuni dei casi nei quali il coraggio, la sete di vendetta o la disperazione delle curde sono finiti sotto i riflettori, presto spenti, dei media internazionali. Nessuno del resto sa quante siano in totale le combattenti donne, nelle terre curde frantumate e devastate a cavallo tra Iraq, Siria e Turchia. Qualche dato in più si conosce invece sulle militanti del Pkk: quasi il 20%. E in una quindicina d’anni oltre la metà degli attentati di matrice curda anti-turca è stata compiuta da donne votate al martirio.

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