I neofascisti e l’America: un saggio di Luca Tedesco esplora la pubblicistica della destra nazionalista e anti-Nato
L’America, nell’immaginario del neofascismo italiano, è metafora di libertà (in nome dell’opposizione al comunismo sovietico) ma è anche simbolo di neocolonizzazione culturale da contrastare. Un tema ripreso dalla produzione intellettuale del fascismo (bene indagata da Michela Nacci in un saggio di qualche anno fa, L’antiamericanismo in Italia negli anni Trenta) e che si perpetua nella pubblicistica vicina alla sinistra missina negli anni Cinquanta e Sessanta. Oggi un giovane ricercatore, Luca Tedesco, scandaglia appunto l’argomento in un saggio che rimanda a documenti e testi poco conosciuti – L’America a destra, Le Lettere, pp. 102, euro 16) – individuando le differenti sfumature dell’ostilità dei reduci del fascismo nei confronti degli Usa: negli anni Cinquanta e Sessanta si insiste sul mito dell’Europa come “terza forza” e sulla supremazia della civiltà latina rispetto a quella individualistica anglosassone, negli anni Ottanta e Novanta è il culto dell’anticapitalismo a prevalere. Il dibattito sul Patto atlantico e sulla Nato tiene banco nella destra italiana dal 1949 al 1952, anno in cui si celebra il congresso missino dell’Aquila che registra la vittoria degli atlantisti (seguita dall’uscita dal partito di Concetto Pettinato e di Giorgio Pini). Seguì il periodo della segreteria di Michelini, il quale si impegnò a liquidare ogni velleità terzaforzista e che nel 1960 definì la Nato “il massimo sistema di tutela e di difesa degli interessi storici, politici ed economici dell’Italia e dell’Europa”.
Ulteriore elemento caratterizzante dell’antiamericanismo neofascista – avverte Luca Tedesco nel suo studio – è quello della “devastazione morale” che va di pari passo con la degenerazione del parlamentarismo. Ed ecco che su “Rivolta Ideale” si traccia il “bilancio” di quanto “l’America ha portato in Italia: bombe per la devastazione delle nostre città, il Ddt e la Coca Cola…”. Una critica di tipo spiritualista cui si uniscono invettive anacronistiche e conservatrici contro la musica “sincopata” che “infetta” lo spirito degli europei… (così Stanis Ruinas su “Il pensiero nazionale”). Negli anni Sessanta questi umori e queste affinità elettive si ritrovano attorno alla rivista di Luciano Lucci Chiarissi “L’Orologio” né si può sottacere il j’accuse contro la sudditanza dell’Occidente alla civiltà dei consumi di un intellettuale come Adriano Romualdi.
Negli anni Ottanta “Il male americano” (Lede 1978) di Alain de Benoist e Giorgio Locchi diviene il libro cult dei ragazzi di destra: un pamphlet il cui scopo è dimostrare che l’americanismo ha alle sue radici il “biblismo sociale” figlio dell’etica protestante che dissolve i legami comunitari. Un terreno approfondito in modo più sofisticato dalla Nuova destra italiana di Marco Tarchi, che si interrogava soprattutto sul rapporto tra Europa e Occidente. E infine negli anni Ottanta l’ala movimentista della componente missina che fa capo a Pino Rauti (guidata all’epoca da Gianni Alemanno, segretario nazionale del FdG) riprende tutto l’armamentario dell’antiamericanismo culturale (attraverso riviste come “La Contea” e “Segnavia”) legandolo alla necessità di un risveglio dell’identità nazionale. Un’esperienza eterodossa rispetto alla linea ufficiale della destra italiana ma sicuramente poco conosciuta e, nonostante innegabili ingenuità, ricca di spunti da approfondire ma soprattutto utile a mostrare i vari percorsi attraverso cui le tante anime della destra hanno cercato di declinare nel proprio tempo il “primato della nazione”.