Furto di slip al supermercato: Vallanzasca urla al complotto e il giudice lo caccia dall’aula
«Sono sparite le immagini delle telecamere, è sparito tutto…». Renato Vallanzasca si è rivolto così alla «signora giudice», intervenendo in aula a Milano durante l’udienza del processo per direttissima dopo l’arresto dello scorso 13 giugno con l’accusa di aver rubato due paia di mutande e altre cose di poco valore in un supermercato. L’imputato ha cercato di parlare dopo la testimonianza in aula dei due carabinieri che condussero l’intervento. Uno dei due ha spiegato che «non è una prassi acquisire i filmati delle telecamere di videosorveglianza» nel caso di un furto in un supermercato. I difensori di Vallanzasca, che si proclama innocente, hanno chiesto un confronto tra l’imputato e l’addetto alla sorveglianza che ha chiamato le forze dell’ordine dopo il furto. «Sono emerse grosse incongruenze tra il racconto del sorvegliante e quello dei carabinieri – ha sottolineato il legale di Vallanzasca, Deborah Piazza -, inoltre non esistono i verbali sulla restituzione della merce e le immagini delle telecamere, un fatto insolito visto che Vallanzasca è accusato di rapina impropria». Vallanzasca è poi andato su tutte le furie quando il giudice Ilaria Lucia Simi De Burgis prima lo ha convocato e poi gli ha immediatamente tolto la parola appena Vallanzasca è tornato a chiedere chiarimenti sui filmati. Anche il pm ha ammonito l’imputato affermando che «questo tono non è ammissibile in aula, lei la richiesta di confronto l’ha già verbalizzata e non è stata neanche rigettata». La versione di Vallanzasca, che era in permesso premio e che godeva di una semilibertà che gli è stata revocata dopo l’arresto, è che all’interno del supermercato si è avvicinato a lui un giovane ammiratore. «Mi chiamava zio Renato». Il giovane si sarebbe offerto di portargli la sua borsa e, solo arrivato alla cassa e fermato da un addetto alla sorveglianza, si sarebbe accorto che «quelle robe», tra cui anche delle cesoie e del concime per piante, «erano state messe nella mia borsa». Il protagonista della mala milanese degli anni ’70 e ’80 condannato a 4 ergastoli e 296 anni di carcere, per questo episodio, rubricato come “rapina impropria”, si è visto revocata la semilibertà. Dopo la baruffa in aula il processo è stato rinviato al 14 novembre.