Favole e cartoon al bando dell’inquisizione politically correct. Angelilli e Parsi: no alle gabbie mentali

4 Ott 2014 12:40 - di Priscilla Del Ninno

Pippi Calzelunghe, Tom & Jerry, Cappuccetto Rosso e Huckleberry Finn: sono davvero tutti Lucignoli da mettere all’indice di un’inquisizione culturale inesorabilmente votata al politically correct? A giudicare da quanto riportato sul Corriere della sera, o meglio, dai tagli imposti dalla tv svedese alla sequenza in cui l’enfant terrible con le trecce rosse si tira gli occhi imitando un cinese. Dalla messa al bando di Amazon dei mitici cartoon americani, secondo cui nelle disavventure dello sfortunato gattone e del suo nemico topolino si anniderebbe il sospetto di pregiudizi etnici e razziali concentrati nella presenza di una domestica afroamericana. Dal lavoro di editing operato ciclicamente su testi per ragazzi e favole per bambini, mirati a riadattare contenuti reputati discriminatori, sembrerebbe vincere la cultura del piagnisteo, nata dall’esasperazione di un buonismo, figlio di un conformismo integralista che demonizza e censura, e sempre più in voga. Ne abbiamo parlato con l’esponente di Ncd, già eurodeputata, Roberta Angelilli, e con la psicoterapeuta e scrittrice Maria Rita Parsi.

Come valuta, allora, la mamma prima ancora che la politica Roberta Angelilli, questa esasperazione del politically correct applicato ad alcuni storici titoli per bambini? «Al netto di tutti i precetti formativi – ci spiega – rispetto e riconoscimento delle diversità, e di tutti quei principi di una corretta educazione che vanno assolutamente preservati, è evidente che c’è un’esasperazione “ideologica” che può diventare diseducativa nella misura in cui rischia di condizionare psicologicamente i bambini che invece, a mio parere, dovrebbero avere un loro terreno di confronto e di valutazione, e semmai anche di scontro, privo di determinati filtri indotti da una sorta di regia occulta. Mi spiego meglio: il bambino ha bisogno di mettersi alla prova, di misurarsi con il resto del mondo; se invece ogni comportamento, ogni pensiero, ogni abitudine deve sottostare al vaglio di un’interpretazione ideologizzata, imposta dagli adulti e forzata, si creano nei bambini sensi di colpa, timori a confrontarsi liberamente, una paura che possono, questi sì, indurre in ultima analisi all’intolleranza. Perché – conclude la Angelilli – imporre un orientamento politico rispetto a un determinato codice chiaramente genera alle lunghe insofferenza, tanto da far accadere quello che è successo a Londra qualche giorno fa per cui una coppia di genitori alle prese con il pianto ininterrotto della loro bambina autistica, provando a intonare la canzoncina di Peppa Pig nel tentativo di calmarla, sono stati duramente redarguiti da una donna musulmana che ha letto in quel canto un affronto alla sua religione che vieta, come noto, di mangiare il maiale. Il che testimonia come la ricerca affannosa del buonismo a tutti i costi, perseguita anche attraverso il mettere delle gabbie mentali a un ragazzino in crescita, rischia di scatenare spesso la reazione opposta a quella cercata».
Come dire che tutta questa cultura dell’apparente tolleranza può arrivare a generare assoluta intolleranza. Ma quanto può alimentare un sentimento razzista un personaggio dei cartoni, una canzoncina, quanto possono incidere sulla formazione ideologica di un bambino? «In una società multietnica che ha aperto le porte dell’ospitalità ad altri mondi culturali – ci spiega a riguardo la professoressa Parsi – è chiaro che bisogna utilizzare le accortezze maggiori possibili proprio per evitare che ci sia da parte di chiunque un risentimento di sensibilità. Quindi, se da una parte mi sembra esasperato il ricorso ad una riscrittura di scene tv e testi di narrativa, dall’altra però posso capire che si tratta di una apprezzabile attenzione all’integrazione multirazziale. Un atteggiamento che però – aggiunge – dovrebbe essere apertamente vicendevole: se non è biunivoco il percorso – per cui da parte nostra c’è attenzione politically correct a non urtare le suscettibilità e a non offendere le culture altrui, ma gli altri da parte loro non fanno assolutamente niente – si approda a una deriva sociale, per cui la cultura di chi arriva diventa dominante, e quella di chi è radicato finisce per essere gravemente lesa. Detto questo – conclude la Parsi – non penso che sarà facile arrivare a questa reciprocità, perché non credo che quest’attenzione estrema al “politicamente corretto” esista da tutte le parti».
 

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