Negozi e supermercati chiusi 6 giorni l’anno: alla Camera il testo che limita le liberalizzazioni
Saranno ridotti a sei i giorni di chiusura obbligatoria nel corso dell’anno per negozi e supermercati. E’ la novità più rilevante contenuta nel provvedimento in discussione alla Camera che introduce alcune limitazioni alla liberalizzazione, prevista dalla disciplina vigente, degli orari degli esercizi commerciali. Il testo approda in aula dopo un lungo lavoro della commissione X, Attività produttive, dove non sono mancate polemiche e divisioni, anche trasversali, tra i fautori della liberalizzazione totale e quelli che volevano tornare all’antico, aumentando il numero delle chiusure festive obbligatorie, compresa la domenica. Il testo originario fissava in dodici giorni le festività di chiusura. Il progetto di legge in esame, pur mantenendo il principio generale secondo cui le attività commerciali sono svolte senza dover rispettare orari di apertura o di chiusura, l’obbligo di chiusura domenicale, nonché l’obbligo della mezza giornata di chiusura infrasettimanale, individua una serie di eccezioni al principio stesso. Si prevede infatti che in dodici giorni festivi dell’anno le attività commerciali debbano essere svolte nel rispetto degli orari di apertura e di chiusura domenicale e festiva. Viene però, nel contempo, consentito a ciascun esercente l’attività di vendita al dettaglio, di derogare all’obbligo di chiusura, fino a un massimo di sei giorni, individuato liberamente tra i dodici indicati dal testo. L’esercente che vuole avvalersi della potestà di deroga deve darne comunicazione al Comune competente per territorio, secondo modalità che saranno fissate da un decreto ministeriale. Sono escluse dal campo di applicazione di tali limiti le attività di somministrazione di alimenti e bevande. Per i negozianti che non rispetteranno i sei giorni festivi sono previste multe da 2 a 12 mila euro.
Il testo emanato dalla Commissione è giudicato in vario modo dal mondo del commercio. La grande distribuzione, pur apprezzando la riduzione da 12 a 6 delle giornate di chiusura obbligatoria e la libertà di scelta concessa agli esercenti, continua a sostenere la liberalizzazione totale. Mario Resca, a capo di Confimprese, arriva a definire le nuove norme “una controriforma reazionaria”. Di diverso parere la Confcommercio. Secondo il direttore generale Francesco Rivolta, il compromesso raggiunto è intelligente perché difende il “pluralismo distributivo”. Dal canto loro, alcune Regioni sono già sul piede di guerra e preannunciano ricorsi in sede costituzionale. La disciplina degli orari delle attività commerciali, sostengono, appartiene alla loro competenza esclusiva. In effetti, la materia è controversa, soprattutto laddove i profili normativi riguardano la tutela della concorrenza, che la Costituzione attribuisce, invece, alla competenza esclusiva dello Stato. Tra gli scogli da superare c’è anche l’Antitrust che più volte si è pronunciato a favore della liberalizzazione. La medesima Autorità ha, peraltro, fatto pervenire alla commissione, il 14 settembre scorso, una segnalazione in cui sottolinea che la proposta di legge si pone in contrasto con la normativa comunitaria “in quanto suscettibile di reintrodurre significativi limiti all’esercizio di attività economiche aboliti dal legislatore nazionale in attuazione del diritto comunitario”. In più non va trascurato il fatto che il compromesso raggiunto rischia di non tener conto del cambiamento dello stile di vita dei cittadini, della diversità di domanda dell’utenza secondo la struttura specifica dei territori, della diversa articolazione delle attività commerciali (grande e piccola distribuzione) nei Comuni. E, anche se sono stanziati 18 milioni l’anno per cinque anni a sostegno dei piccoli negozi, non è stata ancora approvata la legge annuale per le imprese, come prevista nello Statuto delle imprese. Una carenza che si trascina ormai da tre anni.