Ferrari, i mercati premiano il divorzio: Marchionne scalza Montezemolo
Il titolo Fiat vola in Borsa e incassa un +1,3. E’ la risposta dei mercati al divorzio maturato in casa Ferrari tra Montezemolo, che lascia il Cavallino rampante dopo 23 anni di alterni successi e di recenti delusioni, e Marchionne, dominus incontrastato della azienda automobilistica torinese, ormai sempre più a trazione americana. E’ ancora presto per dire se la scelta, premiata in Borsa, sia quella giusta. I mercati, per loro natura, sono spesso volatili e incerti, si muovono dietro impulsi e sensori che, a volte, faticano a stabilizzarsi. Bisognerà attendere. Soprattutto, bisognerà testare le reazioni in rapporto alle decisioni che di qui a non molto segneranno la differenza di impostazione tra vecchia e nuova conduzione, tra due modelli di gestione e difformi concetti di autonomia che, inevitabilmente, sono venuti a configgere. Due modelli che non potevano più convivere, perché opposti.
Al di là delle nutrite buonuscite (si parla di 14 milioni assicurati a Montezemolo) e dei comunicati distensivi del giorno, dispensatori di riconoscimenti per chi lascia, le ragioni della separazione hanno poco o nulla a vedere con le performance sportive della casa di Maranello. Certo, i risultati negativi degli ultimi tempi hanno inciso. Ma ha inciso maggiormente la differenza di “cultura”: da un lato, quella sportiva e autonomista, dall’altra, quella industriale. La visione industriale ha soppiantato quella sportiva. Il ché non significa affatto che i successi nella Formula uno non contino per Marchionne, così come contavano per Montezemolo. Tutt’altro. Il discrimine risiede nel fatto che la Fiat dell’Avvocato, di cui Luca Cordero Montezemolo rappresenta l’ultima icona, è ormai finita. Oggi l’acronimo della casa torinese è Fca: una combinazione di produzioni italiane e americane targate Chrysler che ha sede commerciale all’estero, sviluppa politiche industriali che non badano alla nazionalità e puntano dritto a profitti non conseguibili coltivando l’orticello di casa. Montezemolo ambiva, invece, a mantenere la Ferrari in un involucro di autonomia rispetto alle strategie di Marchionne. La sua idea era quella di trascinare la Ferrari sulla rotta di Abu Dhabi, verso soci orientali di Cina, Singapore e India, con l’obiettivo di costruire intono al marchio Fiat un gruppo da quotare ad Hong Kong. L’idea nascondeva l’ambizione di giocare una partita tutta sua, da leader del made in Italy, in grado di spopolare in Asia e tenere a bada i partner finanziari. Una idea e un obiettivo ovviamente non graditi né a Marchionne né a John Elkann. Questi ultimi, soprattutto il primo, considerano la Ferrari un marchio di garanzia per la quotazione a Wall Street, un elemento di prestigio, il sigillo indispensabile per il polo di lusso della Maserati e dell’Alfa, su cui Marchionne non fa mistero di voler scommettere per completare la gamma globale del gruppo. Così il Cavallino di Maranello, d’ora in poi, sarà meno sportivo, meno frivolo, meno indipendente. Un’altra storia.