Omicidio dell’Eur: dall’autopsia sulla vittima del killer cominciano ad arrivare le prime risposte
Con l’esame autoptico eseguito sulla povera donna ucraina uccisa e decapitata da Federico Leonelli domenica scorsa nella villetta romana dell’Eur, comincia a chiarirsi qualcosa in più sulla dinamica omicidiaria. E quello che si conferma, in tutta la sua cruda, sconcertante veridicità, è la butalità dell’aggressione del killer nei confronti di Oksana Martseniuk, colpita da oltre 40 coltellate, di cui una fatale che ha infierito su cuore e polmone.
Secondo quando accertato dal medico legale, infatti, la maggior parte delle ferite da arma da taglio trovate sul corpo della donna sono state provocate dal disperato tentativo di difesa della vittima braccata dall’assassino. Di più: per i medici, che hanno definito il quadro lesivo «impresionante», il killer si sarebbe accanito sulla donna sferrando i colpi – anche sul volto – a pochi secondi di distanza l’uno dall’altro, tanto che alcuni si sarebbero addirittura sovrapposti.
Per compiere quello che non è esagerato definire un massacro, Federico Leonelli avrebbe usato due coltelli, uno grande e uno piccolo, particolare che avvalorebbe l’ipotesi iniziale dell’uso di una sorta di mannaia, a cui l’uomo sarebbe ricorso per decapitare la donna dopo averla uccisa, e poi minacciare gli agenti di polizia che hanno reagito ferendolo a morte.
Sempre in base all’autopsia, poi, i medici incaricati del caso hanno dichiarato di non aver trovato tracce di violenza sessaule sul corpo, segno che l’aggressione è maturata in seguito ad altri motivi e non è scaturita dal movente che inizialmente si era supposto: un possibile rifiuto della donna alle avances dell’uomo. Uomo che, si è appurato fin qui, era sotto cura farmacologica, che prevedeva l’assunzione di psicofarmaci che potevano avere effetti allucinogeni: cosa di cui gli specialisti che lo avevano in cura avevano avvisato il paziente.
In queste ore la famiglia del killer sta raccogliendo infatti tutto il materiale riguardante il percorso “farmacologico” intrapreso in questi anni da Leonelli, e che verrà consegnato al pm Luigi Fede, titolare del procedimento. Al killer in passato sarebbe stata diagnosticata una forma di schizofrenia, e nelle scorse settimane gli psichiatri che lo seguivano, e a confermarlo è l’avvocato Pina Tenga che assiste la sorella di Leonelli, avevano allertato l’uomo che il «protocollo farmacologico aveva un dosaggio troppo alto».
A corredo di ciò arriva anche la testimonianza resa dal proprietario della villetta dell’omicidio, Giovanni Ciallella, che nei giorni ha reso noto ai media l’intenzione di Leonelli di recarsi in Israele per combattere contro i palestinesi. Un’indiscrezione confermata da fonti israeliane che hanno ribadito che l’uomo cercò di entrare nel Paese, ma che all’aeroporto di Ben Gurion fu respinto dalle autorità che gli hanno interdetto l’ingresso per 5 anni, sospettando che le sue motivazioni per entrare fossero «diverse da quelle turistiche», e che l’uomo volesse trattenersi per un periodo molto più lungo di quello che sosteneva.
Intanto, tra supposizioni e sospetti che articolano la ricostruzione della personalità dell’assassino e della dinamica dell’omicidio, un fatto è già stato appurato: Federico Leonelli voleva fare a pezzi il corpo della sua vittima e disfarsene. La conferma è arrivata sia dall’autopsia di Oksana Martseniuk, da cui è emerso che la donna è stata decapitata dopo la morte, sia dal ritrovamento dei bustoni dell’immondizia per nascondere il cadavere che il killer aveva preparato prima dell’arrivo degli agenti.