L’ultimo discorso di Orbàn: spauracchio per l’Occidente o “modello” di decisionismo temperato?
Una voce contro le democrazie liberali e le loro insufficienze che si è leva di recente suscitando critiche e allarmi è stata quella di Viktor Orbàn, il premier ungherese che in un suo recente discorso ha detto che non tutte le democrazie occidentali riescono a tenere il passo con la competitività globale e dunque “il tema più caldo di oggi è comprendere quei sistemi che sono non-occidentali, non-liberali, che non sono democrazie liberali, forse che non sono nemmeno democrazie, e che pure formano delle nazioni di successo”.
I modelli citati da Orbàn sono stati Singapore, Cina, Turchia, India e Russia. Com’è noto Orbàn è attenzionato dall’Europa, di cui l’Ungheria fa parte, per la controversa riforma della Costituzione e questo suo ultimo discorso è apparso come un pronunciamento a favore del dispotismo anche se va ricordato che il suo partito, Fidesz, ha ottenuto alle ultime elezioni il 46% dei voti e dunque il potere di Orbàn è pienamente legittimato. Bene fa Il Foglio, allora, a utilizzare le parole del premier ungherese non come campanello d’allarme contro le democrazie (sul cui effettivo tasso di libertà ci sarebbe da discutere, soprattutto dopo che si è avuta certezza dello spionaggio invasivo dei servizi Usa ai danni dei paesi occidentali) ma come “paradigma” per comprendere meglio le falle dei sistemi liberaldemocratici. E che vi siano disfunzioni è innegabile visto che anche Matteo Renzi, come del resto Silvio Berlusconi prima di lui, si è lamentato dell’impossibilità di prendere decisioni e di portarle a termine nonostante il consenso avuto. Il Foglio riporta anche il parere del politologo Nathan Gardels, per il quale l’alternativa non va posta tra democrazia sì e democrazia no ma occorre fare un investimento sul merito (sottraendolo ai partiti) in modo da tenere insieme il pluralismo e il decisionismo delle élite. È importante, al di là delle analisi politologiche, che il “paradigma Orbàn” venga visto e letto senza pregiudizi non come icona del populismo euroscettico ma come alternativa ormai strutturata ai modelli delle democrazie parlamentari dove le riforme vengono bloccate dai veti, dalle infinite discussioni e dai sistema dei bilanciamenti istituzionali previsti nelle Carte fondamentali (come la nostra Costituzione).