«Lei non sa chi sono io», disse il re del Marocco scambiato dagli agenti per scafista. E in effetti non lo sapevano…
La fatidica frase «lei non sa chi sono io», nobilitata al cinema dal mitico Totò, è diventata una vera e propria arma dialettica, sempre più spesso utilizzata indiscriminatamente, tanto che da noi – popolo di santi, poeti, navigatori e celebri millantatori – la Suprema Corte si è vista costretta a vietare l’utilizzo della celebre locuzione mirata a trarre benefici, declassandola al rango di reato. Più che un invito a considerare l’identità di chi ricorre alla pavoneggiante espressione, come sottolineato dalla corte di Cassazione, la frase suona infatti come una neanche troppo implicita minaccia: anche se la cronaca estiva registrata dalla stampa spagnola ci racconta la classica eccezione che conferma la regola. L’episodio, che vede coinvolti niente poco di meno che il re del Marocco Mohamed VI e ignari agenti di una motovedetta della guardia civile spagnola, è riportato in differita in questi giorni dal quotidiano El Mundo, ma è accaduto il 7 agosto scorso, a due miglia da Punta Almilla, nelle acque di Ceuta, l’enclave spagnola in Marocco.
«Non sapete chi sono io?», avrebbe tuonato indignato e offeso il sovrano del Paese maghrebino agli incauti pattugliatori del mare che avevano osato fermare per controlli la sua lancia, sulla quale navigava a 2 miglia dalla costa, scambiandola per un’imbarcazione utilizzata dai trafficanti di migranti.
Secondo quanto ha riferito il quotidiano spagnolo, allora, interrotta la regale navigazione, il re sarebbe salito in coperta fra gli uomini dell’equipaggio per vedere cosa stesse accadendo, pronunciando prima ancora di presentarsi il proverbiale «Non sapete chi sono?». Interrogativo retorico a cui re Mohamed VI non avrebbe certo mai pensato di dover aggiungere una risposta. Invece, al secco «no» di replica degli agenti il sovrano ha dovuto togliersi gli occhiali da sole perché la pattuglia spagnola lo riconoscesse e bloccasse l’identificazione. Profondamente ferito nel suo regale orgoglio, il monarca è immediatamente corso ai ripari istituzionali telefonando a Felipe VI, suo “omologo” spagnolo, al quale ha espresso il proprio disappunto per l’increscioso accaduto. E il sovrano appena salito sul trono ha a sua volta prontamente allertato il ministro spagnolo degli interni, Jorge Fernandez Diaz, chiamato a rivolgere al collega marocchino le istituzionali scuse per l’imbarazzante equivoco.
Solo allora Mohamed VI ha dato per chiuso l’incidente e salutato gli agenti della guardia civile con una prosaica stretta di mano. Non prima di promettere però che, in caso di sanzioni alla sua imbarcazione o alle tre moto d’acqua del seguito reale, sarebbero seguiti «problemi» imperiali. Cosa che, memori del blasone del possibile querelante – assicura El Mundo –non si è fortunatamente verificata…