Gay Pride, in Uganda costretti a farlo per avere gli aiuti dagli Stati Uniti
Una “festa” per la “liberazione” e i “diritti umani”. I gay ugandesi hanno celebrato il loro primo Pride della storia dopo l’annullamento da parte della Corte Costituzionale della legge anti omosessuali, tra le più repressive al mondo. Ma il governo di Kampala contrattacca appellandosi a tale decisione. Balli e danze hanno contraddistinto la manifestazione, autorizzata dalla polizia, che si è tenuta in un giardino botanico ad poco meno di un chilometro dalla residenza del presidente Yoweri Museveni, devoto cristiano evangelico, uno dei promotori della controversa legge che ha promulgato a febbraio. «Questa è l’occasione per ritrovarci, visto che fino ad ora dovevamo nasconderci a causa della legge», ha affermato una delle organizzatrici del corteo, Sandra Ntebi, definendo la manifestazione un «giorno di festa». Molte le voci discordanti come quella di un tassista indignato per il corteo: «È una vergogna per l’Uganda», ha tuonato William Kamurasi chiedendo alle forze dell’ordine di intervenire. Ma al di là del clima festivo che ha contraddistinto il Pride, sulla comunità omosessuale locale incombe adesso il ricorso di parlamentari ed esponenti del governo contro la decisione presa dalla Corte suprema lo scorso 1° agosto. In quella data la Corte aveva sentenziato che la legge era stata approvata senza il raggiungimento del quorum alla Camera violando diversi articoli della Costituzione e non rispettando la procedura. La normativa aveva ovviamente sollevato proteste in tutto il mondo, in particolare nei Paesi occidentali, molti dei quali, Usa tra i primi, avevano deciso di sospendere i loro aiuti al Paese africano. Parlamentari e rappresentanti del governo hanno deciso di ricorrere contro la Corte suprema chiedendo che il testo di legge venga reintrodotto. «La legge non vuole stigmatizzare gli omosessuali ma proteggere l’interesse generale», ha precisato Fred Ruhinda, consigliere legale del governo di Kampala. Definita “repressiva” e “abominevole” dai gruppi in difesa dei diritti umani, ma sostenuta da gran parte della popolazione ugandese, la legge anti gay prevedeva il carcere a vita per i recidivi, disponeva il divieto della propaganda dell’omosessualità e l’obbligatorietà della denuncia dei gay. In una prima versione del testo era stata inserita la pena di morte, ma dopo le proteste internazionali i suoi promotori avevano accettato di togliere il ricorso al boia. L’omosessualità è vietata in molti Paesi africani, Sudafrica a parte, dove sono legali le unioni fra persone dello stesso sesso. In Nigeria i gay rischiano fino ad un massimo di 14 anni, mentre in Paesi come il Sudan, la Mauritania e la Somalia, dove gli jihadisti hanno imposto una rigida interpretazione della Sharia, legge islamica, gli omosessuali sono destinati al patibolo.